LA TEOLOGIA PASTORALE DI FRANCESCO Occorre saldare la fede con la vita

Si riporta l’articolo: La Teologia pastorale di Francesco di Pantaleo Dell’Anna comparso nel numero di “ANXA” di marzo-aprile 2018

Dottrina e pastorale sono legate come la preghiera e la vita. Questo pensiero di fondo ispira tutta la teologia di Papa Francesco. Egli lo ha precisato fin dall’inizio del suo ministero petrino nella Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (24 nov. 2013) che, accogliendo l’invito dell’Assemblea sinodale del 7–28 ottobre 2012 su: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cattolica, indica le linee guida dell’azione ecclesiale per l’annuncio del Vangelo nel mondo d’oggi (n. 16).

Qui il Papa infatti precisa che “la pastorale in chiave missionaria esige di abbandonare il comodo criterio del “si è fatto sempre così” (n. 33). Occorre perciò prendere atto delle nuove situazioni culturali e dello sviluppo sociale ed economico a cui l’agire pastorale della Chiesa deve adeguarsi, sapendo leggere i segni dei tempi secondo le indicazioni delle Costituzioni conciliari Lumen gentium e Gaudium et spes.

Papa Bergoglio, consapevole del rischio che la Evangelii gaudium rimanga lettera morta (Cfr. n. 25), spera che tutte le comunità “facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria che non può lasciare le cose come stanno” (Ibidem). Consapevolmente nel discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana (Firenze 9-13 novembre 2015), suggerisce di avviare “in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, […], in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”.
La teologia pastorale, per essere davvero tale, deve necessariamente tenere conto del contesto e della situazione storica e geografica nella quale vivono gli uomini (il qui e ora della storia) per poter dare soluzioni ai problemi della società e degli uomini di ogni tempo, offrendo sempre la possibilità d’incontro dell’uomo con Dio e viceversa. Poiché in questo lavoro interagiscono teoria e prassi, si richiede nell’operatore pastorale preparazione teologica, conoscenza dell’ambiente e notevole capacità interpretativa sia della teoria che della prassi.
L’interrogativo di fondo a cui la Teologia pastorale è chiamata a rispondere è come tutto ciò possa attuarsi. Il punto di partenza è la Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero ecclesiastico che devono però, per essere efficaci, saper cogliere i segni dei tempi cioè le sfide poste, di volta in volta, dalla situazione sociale, culturale ed ecclesiale. Ciò richiede un continuo dialogo con le discipline teologiche ed anche con le scienze umane, per cui il cammino della teologia pastorale è fatto di percorsi mutevoli e sempre innovativi, mai racchiudibili in schemi fissi, validi universalmente.
1) Il Papa ai teologi: ”Non separate dottrina e pastorale”
Uno dei principali obiettivi del Concilio Vaticano II è stato quello di superare il divorzio tra fede e vita quotidiana e di precisare che altro è la sostanza della dottrina rivelata, espressa con gli elementi culturali propri del tempo in cui è stata redatta, altro è la forma con la quale viene trasmessa alle varie generazioni che vivono in un certo contesto storico- geografico.
Francesco ha puntualizzato questi argomenti nel videomessaggio del 4 settembre 2015 al Congresso internazionale di Teologia di Buenos Aires, quando ha rivolto ai teologi un pressante invito a non separare dottrina e pastorale poiché “la teologia senza un rapporto immediato e diretto con la vita quotidiana del Popolo di Dio si trasforma in ideologia”, in quanto “non esiste una Chiesa […] che ignori e si disinteressi della realtà locale”. Giustamente Mons. Nunzio Galantino scrive che “occorre saldare le parole con i fatti e la fede con la vita, come ha fatto don Tonino”, il quale era solito ripetere che “non dobbiamo più avere i segni del potere, ma il potere dei segni» (Don Tonino e il potere dei segni, in “il Sole 24 Ore”, 17 marzo 2018). La Chiesa del Concilio, sognata da don Tonino e riproposta e testimoniata da Francesco, deve seguire questa via. Ogni tentativo, continua Francesco nel videomessaggio, “di rompere il rapporto tra la Tradizione ecclesiale e la realtà concreta, pone a rischio la fede del popolo di Dio”. Non si cambia infatti il mondo con la condanna, ma con l’amore, osservando attentamente il nuovo che in esso si fa strada. Il mondo lo salva chi è capace di sentirsi parte di esso e non chi, in forza di principi astratti e regole fisse, lo condanna senza appello. La Chiesa, seguendo lo stile di Gesù che passò tra gli uomini “beneficiando e risanando tutti” (At. 10, 38), ha come missione, scrive Mons. Bruno Forte, “non di giudicare il mondo, ma salvarlo, offrendo a tutti ragioni di vita e di speranza con la grazia del perdono e dell’amore” (Francesco cinque anni di audacia e fede, in “Il Sole 24 Ore”, 11 marzo 2018). L’atteggiamento negativo nei confronti del mondo genera, dice il Papa, “una opposizione tra la teologia e la pastorale” che non ha senso ed è smentita dalla storia perché “i grandi Padri della Chiesa, Ireneo, Agostino, Basilio, Ambrogio –per nominarne solo alcuni- sono stati grandi teologi perché sono stati grandi pastori” (Videomessaggio cit.).
Bergoglio, facendo propria l’immagine di Benedetto XVI che paragona la Tradizione della Chiesa ad “un fiume vivo che ci collega alle origini”, aggiunge che questo fiume “va irrigando terre diverse, va alimentando diverse geografie, sta facendo germinare il meglio di questa terra, il meglio di questa cultura e in questo modo il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo in modo sempre nuovo” (Ibidem). Poiché non si è cristiani allo stesso modo nell’Italia di oggi e in quella di cento anni fa, nel Sud America, in Asia o a Roma, è compito del teologo guidare questo fiume. “La Tradizione –scrive il Cardinale Walter Kasper- non è un lago stagnante, ma è come una sorgente, un fiume: è una cosa vivente. La Chiesa è un organismo vivente e così si deve tradurre la sempre valida tradizione cattolica nella attuale situazione. Questo è il senso dell’aggiornamento di cui aveva parlato papa Giovanni XXIII” (Intervista a Vatican News del 5 marzo 2018 a cura di A. GISOTTI). E se è vero che “non può esserci progresso nella rivelazione”, scrive ancora Kasper, è pur vero che “questo progresso può esserci nella comprensione della verità rivelata” (Il messaggio di Amoris Laetizia. Una discussione fraterna, Queriniana, Brescia, 2018, p. 19), perchè “Gesù ha promesso che lo Spirito Santo ci guiderà a tutta la verità fino alla fine del mondo” (Gv. 16, 13). I critici di Francesco confondono “la trasmissione del messaggio evangelico da una generazione all’altra con la nostalgia per forme che hanno perso l’aderenza alla sostanza dell’annuncio cristiano” (E. BIANCHI, La continuità della fede, in “La Repubblica”, 13 marz0 2018). Va però anche evitato l’appiattimento nello studio della teologia, come è avvenuto negli ultimi decenni, perché la diversità di approccio nell’aggiornamento, auspicato da Giovanni XXIII, non deve far paura “bensì mostrare la bellezza delle diverse sfaccettature che la Chiesa assume nel corso della storia” (Ibidem) nelle diverse comunità ecclesiali sparse nei cinque continenti.
Solo il discernimento stabilisce il dialogo tra passato e presente ed evita la contrapposizione tra dottrina ed accademia da una parte e cultori della pastorale dall’altra, senza trasformare la dottrina in una “parola sterile, vuota di tutta la sua forma creatrice” (Ibidem), il che tradirebbe il contenuto stesso del messaggio evangelico. Seguire, orientare e guidare teoricamente questo processo è compito fondamentale dei teologi mentre, in foro interno, spetta ai confessori sciogliere dubbi e dare certezze alle coscienze mediante il discernimento.
La dottrina non è un sistema chiuso, chiarisce Papa Bergoglio. Essa “si chiama Gesù Cristo ed è la sua Vita quella che viene offerta di generazione in generazione a tutti gli uomini e in tutti gli angoli della terra. Custodire la dottrina esige fedeltà a ciò che si è ricevuto e -allo stesso tempo- tenere conto dell’interlocutore, del suo destinatario, conoscerlo e amarlo” (Videomessaggio cit). Questo incontro tra dottrina e pastorale quindi non è opzionale , è costitutivo di una teologia che voglia essere ecclesiale, universale e non ancorata ad un moralismo sterile che si traduce in una serie di norme asfissianti. E’ precisamente quanto il
Papa, durante il suo viaggio in Cile, in un colloquio informale il16 gennaio 2018 con i gesuiti di quella nazione, tentò di chiarire, rifacendosi alla sua esperienza. Disse infatti: “ho ricevuto anch’io, nella mia formazione, la maniera di pensare ‘si può o non si può’, ‘fin qui si può, fin qui non si può’. Rivolgendosi poi ad uno dei presenti, continuò “non so se ti ricordi di quel gesuita colombiano che venne a insegnarci morale al Collegio Massimo e quando si venne a parlare del sesto comandamento, uno si azzardò a fare la domanda : ‘I fidanzati possono baciarsi’? Se potevano baciarsi! Capite? E disse: ‘Si , che possono! Non c’è problema! Basta però che mettano in mezzo un fazzoletto” (Conversazioni con i gesuiti del Cile e del Perù, in “La Civiltà Cattolica” n. 4024, 17 feb/3 mar 2018, p. 318). Questo modo di fare teologia è basato sul “limite” ossessivo che perimetra ogni comportamento, per cui non deve meravigliare se tutta la discussione sull’Amoris Laetitia si è concentrata poi prevalentemente sul problema se il divorziato risposato può o non può accostarsi ai sacramenti.
2) Il “Popolo di Dio” soggetto della missione evangelizzatrice
L’ espressione “Popolo di Dio” si richiama direttamente al Vaticano II, ha un significato decisamente ecclesiologico, indica un cambiamento radicale nell’atteggiamento della Chiesa nei confronti del mondo e sta particolarmente a cuore a Francesco che, nel primo saluto alla folla, il giorno della sua elezione, ha parlato di «cammino insieme di popolo e Vescovo di Roma».
Nella Evangelii gaudium (capitolo III), Egli indica come soggetto della missione evangelizzatrice della Chiesa, “il Popolo di Dio […] che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegrino ed evangelizzatore che trascende sempre ogni pur necessaria espressione istituzionale” (n. 111). Fa poi una sintesi ecclesiologica originale, dei capitoli I (Il mistero della Chiesa, nn. 1-8) e II (IL popolo di Dio, nn. 9-17) della Lumen gentium, affermando che «la Chiesa è inviata da Gesù Cristo come sacramento della salvezza offerta da Dio» (n. 112). «Essere Chiesa» -ribadisce il Papa- significa essere popolo di Dio, in accordo con il grande progetto d’amore del Padre» (n.114) che ha tanto amato il mondo da mandare sulla terra il suo Figlio che è entrato in comunione con l’uomo ed è vissuto in questo mondo attraversato da conflitti, ingiustizie, violenze ma anche da speranze e sogni. Accettare questo disegno di Dio non è una pura opzione, ma una necessità che scaturisce dalla piena comprensione del mistero divino dell’Incarnazione. Di conseguenza, giacché il popolo di Dio “si incarna nei popoli della Terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura […] la grazia suppone la cultura e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve” (n.115). Una teologia che esula da questo contesto unitamente ad “un eccessivo clericalismo che mantiene i laici ai margini delle decisioni”, (n. 102) è perciò improponibile e deleterio per una formazione pienamente ecclesiale.
La Costituzione apostolica Veritatis gaudium, sulle Università e le facoltà ecclesiastiche, (27 dicembre 2017), delinea il percorso per la formazione teologica del Popolo di Dio ed auspica un sincero e solidale dialogo con tutti i popoli e con tutte le culture, arricchito dei doni dello Spirito Santo che si manifestano “dal sensus fidei fidelium al magistero dei Pastori, dal carisma dei profeti a quello dei dottori e dei teologi” (n. 3).
Il papa ha concluso il suo videomessaggio all’Università cattolica argentina ricordando che il teologo è innanzitutto figlio del suo popolo che “incontra le persone, le storie”; è un credente “che ha scoperto Gesù “e sa che senza di lui non può vivere”; è un profeta perché pur mantenendo “la tradizione che ha ricevuto dalla Chiesa”, guarda al futuro ed invita a sconfiggere “l’autoreferenzialità e la mancanza di “speranza”.
3) Lo stile pastorale di Francesco
Francesco, secondo il teologo Cardinale Walter Kasper, “non è un accademico professionista”, mentre invece lo erano i suoi predecessori (Cfr. Papa Francesco.La rivoluzione della tenerezza e dell’amore, Queriniana, Brescia, 2013, pp. 23 – 25), ma intende principalmente avviare processi che richiedono tempi lunghi, più che occupare spazi di potere perché “il tempo ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita”. Ciò lo induce a privilegiare “le azioni che generano nuovi dinamismi e coinvolgono altre persone e gruppi che le porteranno avanti, finché fruttifichino in importanti avvenimenti storici” (Evangelii gaudium, n. 223). Per il Papa l’autentico progresso umano è un processo che si attua nel tempo e consente di non rimanere inchiodati al presente, di evitare di aggrapparsi al potere, ma di lavorare per costruire persone, progetto questo che si attua in un lungo periodo. Francesco è un papa che lavora in modo lento ma sicuro, senza essere ossessionato dai risultati immediati e dalle critiche di cui immeritatamente è fatto oggetto.
Kasper, in un saggio scritto per il quinto anniversario della elezione a Vescovo di Roma di Bergoglio, (Papa Francesco 2013 – 2018.”Vi annuncio un tempo”, in “Il Regno Attualità”, n. 6/2018, pp. 183 – 188) sostiene che Francesco usa toni profetici perché annuncia un tempo nuovo “che qui ed ora si sta avvicinando”. Non si tratta di un tempo “cronologico, quello che trascorre attraverso i giorni, le settimane, gli anni, inarrestabile, quello che tutto relativizza , bensì il tempo qualitativamente pieno nel senso del kairos biblico (un evento di grazia da non lasciarci sfuggire), che è appunto “non il tempo vuoto […] ma quello del regno di Dio che arriva”, ossia il tempo della misericordia e “dell’annuncio del Vangelo” che “non è un compendio di dottrine o un codice di norme morali, ma […] il dono dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede , la quale agisce per mezzo dell’Amore” (Ibidem, p. 184). E poiché anche i non cristiani nella loro coscienza sono guidati dallo Spirito di Dio, ciò costituisce un punto d’incontro tra le religioni. “Tale riflessione –secondo Kasper- dà a Papa Francesco un approccio teologico ampio e profondo al problema fondamentale della convivenza e della pace nel nostro mondo globalizzato e urbanizzato e gli permette di farsi carico di un magistero universale , che lo rende con il suo messaggio profetico di misericordia un operatore di pace” (Ibidem, p. 187).
Francesco sta delineando nuovi percorsi che sarà difficile ignorare, anche dopo la fine del suo pontificato. La sua azione non è una rivoluzione , come molti osservatori dicono, ma un progetto di riforma che più che le istituzioni riguarda le coscienze.
Il magistero petrino di Francesco gradatamente sta riportando nella Chiesa quella libertà di parola che, ben al di là di tutte le spiegazioni teologiche, la rendono davvero popolo di Dio e non è affatto vero che Egli non ama la verità e ha paura di esporla. Tanto è vero che nella costituzione, Veritatis gaudium parla addirittura della gioia della verità e “richiama l’intera comunità teologica accademica al dovere di chiarire teologicamente e approfondire la visione universale e concreta, e pertanto autenticamente cattolica” (W. KASPER, Vi annuncio un tempo,cit. p. 188). Si tratta di una verità che non rimane vincolata a impianti concettuali e dichiarazioni formali che possono diventare anacronistiche, ma la verità del Vangelo che comporta intelligenza della realtà, senso di responsabilità nei confronti del passato e annuncio del futuro.
4) Conclusione
“La filosofia e la teologia -conclude il Papa nel discorso alla Comunità della Pontificia Università Gregoriana- permettono di acquisire le convinzioni che strutturano e fortificano l’intelligenza e illuminano la volontà. Ma tutto questo è fecondo solo se lo si fa con la mente aperta e in ginocchio […]. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero “sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo”. La sua teologia perciò si integra “con l’impegno missionario, con la carità fraterna e la condivisione con i poveri, con la cura della vita interiore nel rapporto con il Signore” (RANCESCO, Discorso alla comunità della Pontificia Università Gregoriana, 10 aprile 2014). Per Francesco le tre condizioni indispensabili per un percorso teologico serio ed autentico sono: lo studio “per non dire sciocchezze o idealizzare situazioni in modo molto semplicistico”; l’incontro con la realtà per non incorrere in “idealismi sciocchi” e la preghiera per “non restare senza l’audacia evangelica” (Dal chiodo alla chiava . La teologia fondamentale di Papa Francesco, a cura di M. TENACE, Lev, Città del Vaticano , 2018, p.10). Papa Francesco nella sua teologia utilizza il linguaggio concreto, fresco realistico, ricco di immagini di un pastore che condivide la sua vita con quella del suo popolo, attinge alla ricchezza della pietà popolare ed aiuta a riflettere , alla luce della Parola di Dio sulle situazioni concrete della nostra vita per scoprire in esse la volontà di Dio e poterla attuare secondo gli insegnamenti del Vangelo (Cfr. Ibidem, p.149).