Una memoria da A…MARE

A circa 7 Km dalla mia città, c’è un borgo di mare, piccolo, limpido, disteso su un braccio di costa bassa e tenera. Una piazza raccolta e una conca d’acqua verde smeraldo gioiscono ai piedi di un promontorio nominato in gergo popolare “la Croce”. Lungo le sue strade il profumo dello scirocco si mescola a quello della storia, l’odore della battigia a quello dei ricordi. Qui, tra i pescatori di Santa Maria al Bagno, è vissuto e cresciuto mio padre, figlio della barca. Molti racconti della sua infanzia e giovinezza, trascorsa tra il molo e le onde, sono nitidi come i tramonti a ponente quando, guardati a distanza, ti svelano lembi di terre lontane.

In uno di questi preziosi flash back c’è un campo di accoglienza allestito a Santa Maria al Bagno negli anni tra il 1944 e il 1947, tempo in cui i profughi ebrei e i profughi di altre nazionalità, provenienti dai campi di concentramento, affluivano nelle località di mare per avviarsi verso il ritorno in patria. Nei ricordi di mio padre, e in quelli dei pescatori più veterani di Santa Maria, era incisa l’immagine di questi gruppi umani che, per un lasso di tempo, vissero in simbiosi con la gente neritina. Usciti ancora vivi dal buio dei campi di concentramento, questi uomini e queste donne, approdarono nella nostra Terra portando un bagaglio di testimonianze che hanno fornito significative indicazioni riguardanti il primo dopoguerra in Italia e in Europa.
Il sole caldo, il mare, l’aria mite della nostra costa sono ricordati, nelle loro lettere, come vero “sollievo e riposo” dopo la disumana persecuzione da parte dei nazisti. Per molti di loro, quello trascorso a Santa Maria al Bagno fu “il periodo migliore” della vita dopo la guerra.
“Il profumo del mare, il colore delle acque, le ville bellissime” rappresentarono, per chi era stato accolto nel nostro “campo-croce”, un vero e proprio centro per riabilitarsi, per ritornare lentamente a vivere, a respirare il mondo, a credere negli altri. Santa Maria rappresentò il passaggio dai lager all’accoglienza, dalla disperazione alla speranza, dalla non-dignità alla dignità inviolabile della persona umana, dal freddo al calore, dal buio alla luce. A tale clima di ripresa collaborarono anche gli alleati che materialmente contribuirono all’allestimento del campo e all’attivazione dei servizi necessari per renderlo efficiente, esteso e attrezzato.
I soldati americani e quelli inglesi che avevano predisposto una prima accoglienza, furono agli occhi dei residenti la garanzia che il secondo conflitto mondiale era finalmente terminato. La fame, la miseria, i danni umani e materiali, le ferite, la rabbia e il dolore, i piedi sporchi e le macerie, le urla dei bambini sotto i bombardamenti, le corse a ritmo serrato a suon di serene: tutto questo era ancora lì, a fior di pelle e faceva male, tanto. I pescatori, gli abitanti del piccolo borgo di mare, i neritini che frequentavano il posto, vivevano l’esperienza incredibile della rinascita e, in contemporaneità, dell’integrazione. Il pane bianco che i soldati americani gustavano nel campo, la carne in scatola e le quantità dei legumi che portavano nelle proprie riserve di viveri erano prelibatezze per i bambini e i ragazzi scalzi di Santa Maria. L’odore e la vista di tali alimenti rappresentava un’ incoraggiante prospettiva anche per la nostra gente che, accogliendo i profughi, veniva a sua volta accolta, soccorsa, sostenuta. Questa pagina di storia è stata raccontata a tutti da persone che si sono attivate nel recupero di documenti, murales, lettere, testimonianze, tesori unici che parlano della presenza degli ebrei a Nardò. Questa pagina di storia non può non essere letta dalle nuove generazioni. Per questa pagina intrisa di coraggio, impegno, tenacia, altruismo Nardò, il 27 gennaio del 2005, ha meritato, per mano del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, la medaglia d’oro al merito civile.
Santa Maria al Bagno, piccola conca d’acqua, rimane alla storia per i murales, per il pane bianco degli americani, per il profumo delle scatolette di carne, per le storie d’amore scoccate tra gli ebrei e i residenti, per l’eco delle risate serene che, dalla spiaggia, si levavano verso il cielo, raggiungendo come canto di fratellanza tutte le terre devastate dall’odio e dalla violenza.
Ancora oggi, ogni giorno, chiunque entra nella mia città incrocia un cartello lungo la strada. Sopra c’è scritto: “Nardò, città dell’accoglienza”. Impariamolo a …memoria e che sia una memoria da A…MARE.

Rosi Fracella