Lettera di un bambino allo Stato

Quando mio nonno mi parlava di te, per aiutarmi a comprendere meglio chi tu fossi, stendeva sul tavolo un grande foglio bianco e con la matita cominciava a tracciare un disegno. Tu eri l’anziano saggio con il panciotto grigio impeccabile e l’orologio con la catenella nel taschino. I baffi arricciati sul sorriso e gli occhiali, piccoli e tondi, scivolati fin sulla punta sottile e intrigante del naso.

Ricordo che quel disegno ti dava un’aria mista tra la severità e la tenerezza. Sul mento, lunga e canuta, si tuffava la barba. Da quel foglio cominciavi a parlarmi. Attraverso la memoria ferrea del nonno mi raccontavi la guerra, le battaglie, i partigiani, e poi ancora le deportazioni, le corse in mezzo al fango, le lotte per i diritti, il terrore per i bombardamenti, le schiavitù durante le dominazioni straniere. Attraverso i ricordi del nonno la storia diventava memoria. Memoria sacra di quelle lunghe, memorabili giornate in cui l’assemblea costituente formulò, dopo tante sudate, la Costituzione, quel “benedetto foglio di carta”…

Il nonno diceva che la Costituzione era costata il sangue di tanti uomini, il sacrificio di eroi sconosciuti che avevano avuto il coraggio di affrontare l’abisso delle ingiustizie per il bene del popolo. Tu, attraverso di essa, avevi garantito e riconosciuto ad ogni cittadino il valore inestimabile della libertà, della dignità, dell’uguaglianza. Insomma tu, lo Stato, secondo l’insegnamento del nonno, sei garante del bene e dei diritti di ognuno di noi. Questa l’idea che mi è stata tramandata di te. “Dello Stato”, diceva il nonno, “puoi fidarti”. Tu, come la patria, rappresentavi per lui quell’ istituzione suprema a cui ogni abitante del Paese può e deve affidare i propri progetti, i propri sogni, le speranze e il futuro con serenità e fiducia.
Oggi ho ritrovato tra i quaderni, custodito tra le pagine, quel disegno simpatico e animato. Ti osservo. Hai ancora lo sguardo buono, dietro le lenti, e il sorriso pulito che ti aveva tracciato sul volto, con la sua unica matita, il nonno. Rivedo le mani rugose e callose che lui ti disegnò davanti ad una catena di montaggio: “Lo Stato ha le mani degli operai!”, mi urlava con la voce profonda. Osservo il disegno, ma mi sento smarrito. Osservo, ma mi sento confuso perché, piano piano, guardandomi attorno, scopro che tu non sei più quella onesta personificazione che avevo nella memoria di te. Come faccio a credere nella tua saggezza? Come faccio a credere che tu sei l’istituzione che tutela tutti e garantisce il bene a tutti come mi raccontava il nonno?
Il mio papà è disoccupato. La fabbrica dove lavorava ha chiuso e noi ci siamo ritrovati senza il necessario per vivere. Tu hai costretto la mia mamma a fare la pendolare, a lasciarci quando è ancora buio e ad andare a lavorare in mezzo alla campagna, pagata con una miseria che la fa piangere ogni sera, lì, sulla sponda del letto, quando si guarda le mani consumate dal gelo e dalla terra. Vedere negli occhi della mamma e di papà la disperazione, mi fa sentire triste, stringo il cuscino e piango in silenzio senza addormentarmi. Io e mia sorella non possiamo permetterci alcun divertimento, tornati da scuola ci facciamo compagnia con qualche vecchio gioco, ormai consumato. Non abbiamo internet, non abbiamo una cameretta tutta per noi, non abbiamo tutti i libri necessari per studiare, non possiamo fare un viaggio con la nostra famiglia, non partecipiamo ad attività extrascolastiche quali musica o sport.
Sei tu lo Stato di cui mi parlava il nonno? Tu hai trasformato il diritto allo studio in un privilegio per pochi e dici di non avere mai i fondi necessari per rendere sicure e accoglienti le nostre scuole. Ti sento parlare spesso di riforme, ma quando mi guardo attorno vedo bambini e famiglie tristi, genitori che lottano giorno e notte per una vita dignitosa. A volte mi sembra che tu sia dalla parte di coloro che recano danno agli altri, dalla parte dei potenti, di coloro che rubano. Mi piacerebbe vederti difendere invece i piccoli, gli emarginati, i più sfortunati come noi. Mi piacerebbe uno Stato che tutela i portatori di handicap come mia sorella, uno Stato che stanzia il tesoro per la ricerca, che abbatte le tasse ingiuste, che permette la felicità per tutti, che rende migliore la vita di chi soffre. Uno Stato che formula leggi a favore dei poveri. Sei tu quel vecchio simpatico, con la barba riccioluta e la penna infilata nel doppiopetto? Quale esempio di valori e principi puoi dare tu a noi, nuove generazioni? Mi piacerebbe vedere riaprire le porte della fabbrica dove il mio papà lavorava, portando a casa uno stipendio sicuro. Mi piacerebbe poter sognare il futuro con gioia, studiare in una scuola bella e innovativa davvero. Mi piacerebbe vedere il sindaco della mia città, e quella che gli adulti chiamano “opposizione”, smetterla di affrontarsi con ridicoli manifesti offensivi sparsi qua e là, in giro per le piazze del centro.
Mi piacerebbe respirare l’aria pulita, bere l’acqua, mangiare la tanto raccomandata frutta e verdura senza la paura che qualcosa sotterrato nella discarica della mia città ci stia avvelenando, come un campo minato. Allora si, imitando il nonno, mi alzerei in piedi davanti a te, e con la mano in petto, griderei fiero al vento: “sono italiano!”
Ma quel disegno mi sembra ormai lo stralcio di un remoto fumetto. Io ho bisogno di credere in te come ci credevo prima, ho bisogno di sentirmi protetto e trattato nella mia dignità. Ho diritto ad una famiglia serena, ad una casa senza doverla occupare con la forza, ad un’istruzione senza numero chiuso, ad essere curato senza umiliazioni, ho diritto al gioco, all’amore, allo stupore, alla meraviglia, al cibo (sano per tutti, non bio solo per i pochi che possono permetterselo), ho diritto di vedere contenti i miei genitori. Che ne dici? Lasciami crescere in pace, senza la paura di diventare adulto, permettimi di camminare su una strada libera da tranelli, seminata di colori, aspirazioni e rispetto dei diritti. Permettimi di rimanere ancora affascinato da quel vecchio saggio, con le mani grandi e gli occhi puliti, che lascia la propria poltrona per entrare nella storia degli altri perché… “per lo Stato tu sei il valore più prezioso”. Parola di un caro antenato, indimenticabile.