IN MARGINE ALL’ASSEMBLEA MONDIALE DEI VESCOVI

Dal numero di Marzo-aprile 2019 di “Anxa”

Papa Francesco ha reso importante il suo pontificato per il rinnovato impegno della Chiesa cattolica nella lotta agli abusi sui minori ed anche per i dialoghi con la gente comune nelle omelie della Messa di Santa Marta, nelle udienze generali del mercoledì e nella preghiera dell’Angelus domenicale con frasi semplici che assomigliano a quelle di un buon parroco. Il suo magistero è un po’ sui generis , perché fondamentalmente basato sulla pietà popolare, sul sensus fidei del Popolo di Dio e sulla misericordia divina, che non deve “giustificare la pigrizia spirituale, ma accrescere il nostro impegno a corrispondere prontamente a questa misericordia con sincerità di cuore” (Angelus, Domenica 24 marzo 2019) perché, continua il Papa, “la possibilità della conversione non è illimitata, perciò bisogna coglierla subito”.
Ai partecipanti all’incontro ecclesiale mondiale su La protezione dei minori nella Chiesa, Papa Francesco, concludendo i quattro giorni di lavoro, ha lanciato un forte grido di dolore dicendo: “nella rabbia della gente c’e l’ira di Dio” ed ha assicurato che nel futuro ogni caso di abuso sarà affrontato con serietà, senza più coperture. Tutto il Popolo di Dio è chiamato a rispondere all’appello del Papa, riconoscendo gli errori fatti nel passato. Papa Francesco ha dimostrato uno straordinario coraggio nel volere un incontro straordinario, che è stato quasi un Sinodo, su: La protezione dei minori nella Chiesa, mettendo insieme patriarchi, cardinali, vescovi e religiosi di tutta la terra, in una liturgia penitenziale ad accusare se stessi come persone e come istituzione […] per una ricerca sincera e decisa del bene della comunità” (R. LA VALLE, L’ira dei Dio, blog: www.chiesadituttichiesadeipoveri.it , 27 febbraio 2019). ). L’aver riunito tutti i Presidenti delle conferenze episcopali del mondo, evento mai successo prima, ha permesso ai Vescovi di ascoltare le testimonianze molto forti delle vittime degli abusi sessuali e di capire che la pedofilia non riguarda solo alcune regioni del mondo, ma tutta la comunità ecclesiale.
La novità di questo evento è nel fatto che il Papa ha voluto che ad esso partecipassero attivamente alcuni uomini e alcune donne ”per anticipare -scrive Raniero La Valle- una Chiesa del futuro senza più clericalismo”, perché, ha detto il Papa, nel discorso conclusivo del convegno, il volto migliore della Chiesa è “il santo e paziente Popolo di Dio” (Ivi).

Il clericalismo.
Nella Lettera al Popolo di Dio del 20 agosto 2018 Il Papa considera il clericalismo, inteso come potere separato e intangibile della Chiesa e dei suoi apparati, la causa principale di tutti i soprusi e di tutti i mali della Chiesa. La netta divisione tra Chiesa docens e Chiesa discens genera una scissione nel corpo ecclesiale, perpetua i mali che oggi si sta tentando di estirpare e, annullando la personalità dei singoli battezzati, frena le iniziative dei laici e spegne lo slancio profetico che l’intera comunità ecclesiale è chiamata a testimoniare, poiché la visibilità e la sacramentalità della Chiesa appartengono a tutto il Popolo di Dio (cfr, Costituzione conciliare, Vaticano II, Lumen gentium, nn. 9 –14).
Il clericalismo designa una maniera distorta di concepire il clero al quale si riconosce una superiorità morale nei confronti dei laici che, secondo l’espressione del Codice di Diritto Canonico in vigore fino al 1983, hanno “il diritto di ricevere dal clero i beni spirituali e gli aiuti necessari alla salvezza “ (can. 682). I laici, con la loro passività, hanno favorito questa concezione distorta, riconoscendo al clero una deferenza eccessiva e stimando irrilevante il loro contributo alla vita della Chiesa. Il rispetto, che certamente va riservato ai sacerdoti, non va confuso con la totale sottomissione ad essi. In virtù del battesimo i preti fanno parte del Popolo di Dio, come gli altri fedeli, mentre l’Ordine sacro, che imprime un carattere indelebile, consente loro di agire in persona Christi (nella persona di Cristo), e quindi di guidare il gregge, presiedere l’Eucaristia, amministrare i sacramenti ed annunciare il Vangelo. San Pietro, primo Vescovo di Roma, riprendendo le parole di Gesù, esortava gli anziani, suoi collaboratori, a pascere il gregge di Cristo “non come padroni delle persone a loro affidate, ma facendosi modelli del gregge” (1Pt, 5, 3).
Il prete, poiché l’Ordine sacro non cancella la sua umanità, può sbagliare e peccare come ogni altro uomo. Anche gli Apostoli non solo non hanno sempre compreso l’insegnamento di Gesù, ma uno di loro lo ha tradito e tutti lo hanno abbandonato nel momento della morte. Da ciò deriva in ogni presbitero il dovere di impegnarsi a crescere sia spiritualmente che culturalmente, completando ed ampliando la formazione ricevuta nel Seminario.
Quando il Papa categoricamente dice no a qualsiasi forma di clericalismo implicitamente afferma che va cambiato il tipo di autorità e di potere riconosciuti oggi al clero nella Chiesa.
Come rimedio Egli indica innanzitutto la via della preghiera, della penitenza e della conversione al Vangelo. Ma ciò non basta. Occorre anche intervenire sul modo di concepire la missione del sacerdote nella comunità ecclesiale, riducendo la distanza che oggi separa il laicato dal clero e abolendo drasticamente l’aureola di superiorità che lo circonda. Il messaggio che il prete dovrebbe trasmettere non è quello di essere diverso dagli altri ma di essere uno di loro che però “come Davide, ha ricevuto il dono del potere, ma il potere di servire” (Omelia della Messa a conclusione dell’incontro mondiale dei Vescovi di Mons. M.B. COLERIDGE, Arcivescovo Di Brisbane – Australia).

Il celibato dei preti tra storia, teologia e prassi
Nel sacerdote va distinta la funzione di pastore del gregge dal suo stato di vita, ossia l’obbligo del celibato. Sacerdozio e celibato non sono necessariamente interdipendenti. Il matrimonio e il ministero sacerdotale sono ugualmente doni dello Spirito e, come tali, non sono incompatibili.
L’obbligo del celibato per i presbiteri non discende dalla tradizione divino-apostolica, non risale perciò a Gesù Cristo e quindi non è materia di fede. Tra i dodici apostoli, Pietro era certamente sposato; infatti Gesù ne guarisce la suocera (cfr. Mt, 8, 14-15). Per quanto riguarda gli altri apostoli, tenuto conto che la tradizione ebraica considerava il celibato una maledizione divina, si può pensare che fossero sposati. Infatti Gesù, parlando di loro, dice che “hanno lasciato moglie e figli per seguirlo” (Mc, 18, 29-30). L’unico certamente celibe era Giovanni. Dagli Atti degli apostoli e dalla Lettere paoline non risulta se Paolo fosse sposato o celibe. Certamente lasciò ai suoi discepoli la libertà di sposarsi e rivendicò per loro “il diritto di portare con sé una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa” (1Cor, 9, 5). A Tito e a Timoteo raccomandò di essere “irreprensibili, “marito di una sola donna e padre di figli credenti” e di “saper guidare bene la propria famiglia […], perché se uno non sa guidare la propria famiglia , come potrà avere cura della Chiesa di Dio?” (cfr. Tt, 1, 6 e 1Tim, 3, 1-5).
Nei primi secoli, la Chiesa ha avuto preti, vescovi e anche papi sposati, come ad esempio, San Gregorio Nazianzeno, patriarca di Costantinopoli, figlio di un Vescovo, San Patrizio figlio di un diacono e nipote di un prete, Teodoro, Papa dal 642 al 649, figlio di un Vescovo di Gerusalemme, Ormisda, sposato con prole, papa dal 514 al 523 e il figlio, Silverio, papa nel 536, ambedue proclamati santi. Il celibato in quei tempi veniva praticato solo dagli asceti e dai monaci. Il Concilio Romano del 386 fissò alcune norme sul celibato dei preti, ma furono ampiamente disattese. Il Concilio Lateranense II, nel 1139, stabilì che il matrimonio di preti, vescovi e religiosi fosse non solo illecito ma anche invalido. Le motivazioni, più che di natura spirituale, erano di natura economica in quanto si intendeva impedire di frantumare il patrimonio ecclesiastico dividendolo ai figli. Il celibato divenne vincolante per i sacerdoti di rito latino, ma non per quelli di rito orientale, con il Concilio di Trento (1545-1563) convocato da Paolo III, Alessandro Farnese che, ironia della sorte, era padre di quattro figli: Costanza , Pierluigi, il prediletto, Paolo e Ranuccio, avuti dall’amante Silvia Ruffini , prima di intraprendere la carriera ecclesiastica. Il sacerdozio, quindi, non ha il celibato come elemento costitutivo perché non imposto da un precetto divino ma solo da una legge ecclesiastica tant’è che può essere esercitato anche dai preti sposati di rito orientale.
Il Decreto Presbiterorum ordinis del Concilio Vaticano II precisa che “certamente la perfetta continenza non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio”, come dimostra l’esistenza nelle Chiese orientali cattoliche “di eccellenti presbiteri coniugati”, mentre il celibato, che “prima veniva raccomandato ai sacerdoti, in seguito è stato imposto per legge nella Chiesa latina (n. 16) e viene considerato un dono dello Spirito che soffia dove vuole. Esso può essere del santo e si traduce nell’ardore mistico o del genio e si manifesta nella ispirazione artistica. Nel sacerdote diventa segno evangelico solo se è vissuto liberamente, mentre se imposto o accettato passivamente, non protegge dai pericoli della sessualità oggi dilagante, ma può creare insofferenza e predisporre a una doppia vita e anche alla pedofilia.
Ragioni teologiche, storiche e pastorali forse oggi consiglierebbero di porre, accanto ai preti celibi, i preti sposati, come scrive l’Abbe Pierre: “Sono comunque convinto che siano necessari alla Chiesa tanto i preti sposati quanto i preti celibi, che possano consacrarsi totalmente alla preghiera e agli altri” (Mio Dio … perché, Garzanti, Milano, 2006, pp. 26-27).

Bergoglio e il celibato dei preti
Francesco nell’intervista concessa nel viaggio di ritorno dalla Giornata Mondiale della Gioventù del Panama, il 27 gennaio scorso, dialogando con la giornalista Caroline Picozzi del”Paris Match, ha detto testualmente: “penso che il celibato sia un dono per la Chiesa, […], io non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale”, ma subito dopo ha citato un teologo, Padre Feitz Lobinger, al quale Egli spesso fa riferimento, nato a Passau, in Germania nel 1929 e per molti anni Vescovo nella diocesi sudafricana di Aliwal (1988-2004). Questo Vescovo teologo nel libro: Preti per domani: Nuovi modelli per nuovi tempi (Milano, Emi, 2009) propone di reintrodurre, a fianco del presbitero diocesano tradizionale, un secondo tipo di prete che esisteva nei primi secoli della Chiesa il quale, avendo famiglia e lavoro, si dedicava part-time ai servizi religiosi. Il Papa ha invitato i teologi a fare oggetto dei loro studi la proposta di Lobinger perché si tratta “di una cosa da studiare, da ripensare e da pregare”. Ha poi aggiunto che la Costituzione apostolica Anglicanorum coetibus del 4 novembre 2009 di Benedetto XVI consente ai sacerdoti anglicani passati alla Chiesa cattolica di esercitare il ministero, pur continuando ad essere coniugati, ed ha ricordato che in “una udienza del mercoledì ha visto tanti sacerdoti col colletto e tante donne con loro e bambini per mano ai preti”.
Il problema del celibato obbligatorio va studiato tenendo presente la situazione storica e geografica delle singole regioni. La Chiesa infatti è il Popolo di Dio, ma questo popolo di fatto si incarna e vive in tanti paesi, ognuno dei quali ha cultura, usi e tradizioni proprie. E’ questo il motivo per cui il Papa dà grande importanza alle Conferenze episcopali che devono prendere coscienza della responsabilità che hanno nelle scelte che fanno nell’annuncio del Vangelo e nel governo delle chiese locali. Papa Francesco sul celibato obbligatorio, prima di decidere, vuole ascoltare i Vescovi, dopo che, a loro volta, hanno consultato il popolo, convinto che la collegialità è essenziale nel governo della Chiesa. Anche per il celibato obbligatorio, Egli vuol fare esattamente ciò che è avvenuto per l’Amoris Laetitia, quando ogni Conferenza Episcopale ha indicato la propria linea interpretativa ed attuativa del documento. “Se alcune diocesi facessero questo passo –scrive Lobimger- si tratterebbe di un segno di speranza” (Preti sposati, si e no: il piano per picconare il celibato, in “La nuova bussola quotidiana”, 1 febbraio 2019).
Il Cardinale Reinhard Marx, Presidente della Conferenza Episcopale tedesca e Arcivescovo di Monaco e Frisinge, che ha avuto precedenti contatti con Francesco, ha già annunciato nella riunione dei Vescovi tedeschi tenuta dal’11 al 14 marzo scorso un cammino sinodale della Chiesa tedesca per parlare di morale sessuale, celibato dei preti e degli strumenti più efficaci per promuovere la formazione di sacerdoti competenti e “durevolmente stabili” dal punto di vista psicosociale. Purtroppo la formazione sessuale che oggi si riceve nei seminari è distorta, repressa e talvolta disumanizzata e il Papa recentemente ha, ancora una volta precisato, che la Chiesa, “è un luogo in cui non ci sono preclusioni, e se le viene imputato di essere bloccata dal tabù del sesso, non è vero” (“Il Papa parla di laicità. La Chiesa lo segua”. Intervista a M. Perroni a cura di D. AGASSO jr, in “La Stampa”, 3 aprile 2019).
Francesco, che auspica una Chiesa che risponda alle esigenze delle comunità locali, nonostante il suo no alla abolizione del vincolo del celibato, guarda tuttavia con molto interesse alla tesi di Mons. Lobinger. Ciò gli ha procurato nuove critiche, che da quattro anni la destra tradizionalista e reazionaria, che comprende anche qualche cardinale, imbastisce sistematicamente contro di lui. L’ultimo intervento è del cardinale Muller, ex Prefetto della Congregazione della dottrina della fede, con il cosiddetto “Manifesto della fede” (www. lanuovabq.it del 9 febbraio 2019), che vorrebbe essere una “correzione dei presunti errori dottrinali che starebbe compiendo e trasmettendo il Papa argentino” (D. AGASSO jr, Il manifesto di Muller sfida la dottrina di Francesco, in “La Stampa”, 10 febbraio 2019). Il Cardinale Kasper, dopo di aver detto che personalmente ritiene che il celibato obbligatorio debba essere ripensato, considera il documento di Muller “un manifesto di convinzioni teologiche private” (Un manifesto che fa confusione, in www.ilregno.it dell’11 febbraio 2’019).
Tra i critici di Francesco non va dimenticato lo storico Roberto De Mattei della Fondaione Lepanto, il quale non ha mai smentito di essere stato l’autore dei manifesti anonimi contro Papa Francesco due anni fa
. Recentemente il Papa, che abitualmente preferisce il silenzio, ha voluto fare un’eccezione ed è intervenuto in un modo piuttosto deciso. Nell’udienza concessa ai fedeli della Archidiocesi di Benevento il 20 febbraio scorso, dopo aver ricordato che Padre Pio ha amato la Chiesa che “è santa ma noi, i figli della Chiesa siamo tutti peccatori”, e non “l’ha mai distrutta con la lingua”, ha puntualizzato con fermezza, che “non si può vivere tutta una vita accusando, accusando, accusando la Chiesa” . Chi opera in questo modo, ha concluso, “sono, non dirò figli, – perché il diavolo non ne ha- ma amici, cugini, parenti del diavolo”.

Conclusione
Per secoli si è pensato che la stabilità della Chiesa cattolica dipendesse dalla sua struttura monolitica e da una gerarchia inattaccabile. Oggi si constata che la realtà è ben di versa.
Francesco sogna una Chiesa capace di confrontare costantemente se stessa, le sue scelte e le sue strutture con la freschezza del Vangelo della misericordia. Ciò segna una fase nuova di recezione del Concilio Vaticano II, la cui idea di fondo è che la rivelazione di Dio all’uomo non si esaurisce in un complesso dottrinale da recepire ed accettare, ma nel donarsi di Dio agli uomini di tutti i tempi. Un mio professore di teologia diceva: “E’ più facile che si salvi la vecchietta che recita il Rosario storpiando le parole dell’Ave Maria e del Padre Nostro che il teologo che conosce tutte le verità della fede”. Le discussioni sul rapporto Chiesa –mondo e Vangelo –storia, non servono se il Vangelo non passa prima dalla vita di ogni singolo credente.

Pantaleo Dell’Anna