IL RICHIAMO DEL PAPA ALLA CURIA: LA RIFORMA E’ “CONVERSIONE ANTROPOLOGICA”

“Bergoglio è una figura complessa, è un Papa sorprendente, che accende molte curiosità e la sua azione consente di venire centellinata seguendo i molti temi che rivestono il carattere della novità” (F. FERRARI, Francesco il Papa della riforma. La conversione non può lasciare le cose come stanno, Paoline, Cinisello Balsamo, 2020, p. 13). Così si esprime un vaticanista che conosce abbastanza bene Papa Bergoglio fin da quando era Arcivescovo di Buenos Aires.
Le congregazioni dei Cardinali, che precedettero il Conclave, avevano già indicato al nuovo Papa le linee guida da seguire per un’autentica riforma della Chiesa.
Francesco ha da subito preso atto non solo della volontà espressa dai “fratelli Cardinali”, ma anche dell’insegnamento del Concilio Vaticano II. Papa Bergoglio è “figlio del Concilio” e logicamente sente su di sé la responsabilità di attuarlo. La nuova visione della Chiesa, l’autocoscienza ministeriale, la valorizzazione della libertà di coscienza, la correlazione con le altre confessioni e fedi religiose segnano profondamente la vita di Francesco mentre per Ratzinger tutto ciò è frutto della sua acuta riflessione dottrinale. Benedetto è stato un padre del Concilio e il Concilio, come un figlio diventato adulto, ha generato Francesco.

IL Papa alla Curia romana: Il cambiamento è conversione
Francesco, nel discorso augurale rivolto alla Curia romana il 21 dicembre scorso, ha espressamente detto che la Chiesa non può affrontare il passaggio da un’epoca ad un’altra limitandosi “a vivere il cambiamento indossando un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come era prima”. Egli, per chiarire il suo pensiero, si rifà all’espressione enigmatica che si legge in un famoso romanzo italiano, Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: ‘Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Il discorso, scrive Raniero La Valle, riguarda “la riforma della Chiesa, ma così profonda che parte dall’evento originario di Dio che ha preso un corpo umano e lo ha fatto proprio per sempre, secondo le parole molto realistiche del mistico egiziano moderno Matta el Meskin citate dal Papa, […] e giunge fino al lamento del Cardinale Martini su una Chiesa in ritardo di due secoli” (La cifra della riforma, nel blog, www.chiesadituttichiesadeipoveri.it, 24 dicembre 2019). Papa Francesco, nel discorso alla Curia, per esplicitare il senso del cambiamento, cita una ben nota frase del cardinale Newman “rintracciabile -egli dice- nella sua opera Lo sviluppo della dottrina cristiana, pubblicata nel 1845, che storicamente e spiritualmente si colloca al crocevia del suo ingresso nella Chiesa cattolica”. Qui sulla terra, continua il Papa, riportando il pensiero del Cardinale, “vivere è cambiare e la perfezione è il risultato di molte trasformazioni. Non si tratta ovviamente di cercare il cambiamento per il cambiamento […] ma di avere la convinzione che lo sviluppo e la crescita sono la caratteristica della vita terrena e umana mentre, nella prospettiva del credente, al centro di tutto c’è la stabilità di Dio”. Perciò il cambiamento, se è autentico, è conversione che suppone una interiore trasformazione. La storia della comunità ecclesiale è analoga a quella del popolo ebreo. E’ quindi segnata sempre da partenze, spostamenti e cambiamenti che, partendo dall’interno dell’uomo diventano, secondo Bergoglio, una “conversione antropologica” che è graduale e si attua nel tempo e nello spazio poiché “Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia”.
E’ perciò necessario, scrive il vaticanista Marco Politi, che “l’istituzione stessa, nella sua struttura e nella sua auto-comprensione dovesse cambiare”, ossia dovesse “attuare una conversione” per usare un linguaggio religioso, caro al pontefice argentino. Infatti, senza questa conversione, che il fronte ecclesiale conservatore si rifiuta di capire, “la Chiesa non è in grado di interloquire con la società attuale e meno che mai con le nuove generazioni“ (Prefazione, p.7, in F. FERRARI, o.cit.).
Il processo di riforma, ha precisato il Papa, per essere “efficace si attua con “uomini rinnovati” e non semplicemente con “nuovi uomini”. Non si può pretendere che le cose cambino o sperare di ottenere risultati diversi rispetto al passato, se si continua a fare sempre le stesse cose e ad utilizzare i soliti meccanismi. IL “quieta non movere” è un’autentica follia. Perciò Egli ha indicato la via da seguire nell’avviare e nel consolidare questo processo di riforma in tre documenti del suo magistero: la Evangeli gaudium che traccia la via per una conversione pastorale e missionaria della Chiesa; la Misericordia et misera che pone al centro della pastorale la misericordia; e infine la Gaudete et exultate che è un invito alla santità “della porta accanto”, incarnata nella vita quotidiana (Cfr, F. FERRARI, op.cit., p. 230). La partecipazione attiva dei laici, al fine di ricomporre la scissione del corpo ecclesiale tra gerarchia e laici è necessaria non solo per un motivo ecclesiologico, ma anche perché Bergoglio ritiene che il “rinnovamento della gerarchia ecclesiale per se stesso non produce la trasformazione a cui ci spinge lo Spirito Santo” (Ivi, p. 138).

Nella Chiesa sinodale l’autorità è servizio
Francesco, col suo comportamento e con i suoi gesti significativi, oltre che con il suo magistero, sta ri-formando il papato indicando “il papa quale discepolo di Cristo in predicazione sulle vie del mondo”;[…]; sta ri-formando la Curia trasformandola dal ruolo di stato maggiore “che invia ordini alle Chiese locali […] in una funzione di supporto al papa e agli episcopati locali”; sta ri-formando la Chiesa, “insistendo sul suo indispensabile carattere di comunità in cui papa vescovi, preti, religiosi e religiose, laici uomini e donne camminano insieme, annunciano insieme la buona novella e condividono in (prospettiva) l’onere delle decisioni” (M. POLITI, Prefazione cit., p. 8).
Papa Francesco, sin dalla sera della sua elezione, ha usato l’espressione “camminare insieme” (che significa “sinodo”), indicando con essa uno stile di vita ecclesiale nuovo da avviare da cui dipende il superamento di tante patologie che oggi incrinano la credibilità della Chiesa e la rendono incapace di dialogare con il mondo contemporaneo. Il termine “sinodo” esprime molto chiaramente l’unità dei battezzati in Cristo i quali, nella pluralità dei doni e dei ministeri donati dallo Spirito santo a ciascuno, costituiscono una comunità profetica, sacerdotale e regale (Cfr, Costituzione conciliare, Lumen gentium, nn,.9-13). In essa “ognuno e tutti devono essere ascoltati, devono confrontarsi nel dialogo che non esclude i conflitti, devono trovare convergenze nella carità fraterna ecclesiale e devono produrre una deliberazione a cui obbedire” ( E. BIANCHI, Il futuro della Chiesa è nella sinodalità, in “Vita pastorale”, maggio 2019, pp, 50-52, ivi p.50).
Questo cammino però, per essere sinodale, non solo deve essere fatto “insieme”, ma presuppone il coinvolgimento dello Spirito Santo che, “si manifesta in un istinto della fede -il sensus fidei- dei fedeli […] che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio” (COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018, n.56). Se ciò viene a mancare, l’incontro si riduce ad una semplice adunanza.
Il sinodo, oltre ad ascoltare le persone, deve saper leggere la realtà con le sue inattese criticità che ci fanno ascoltare la voce di Dio che ci parla attraverso gli eventi della vita quotidiana. Il risultato è la “conversione del cuore” che è alla base del cammino che la Chiesa deve seguire per attuare la volontà di Dio. Il lavoro sinodale è, quindi, “una celebrazione dell’unità dei battezzati in Cristo che riconoscono di avere tutti la stessa dignità di figli di Dio e perciò di fratelli di Gesù Cristo, formando “un solo corpo e un solo spirito” (Ef, 4, 4). La sinodalità autentica genera una coscienza ecclesiale che rende ogni battezzato protagonista della missione evangelizzatrice della Chiesa e interpreta il ministero del prete e del Vescovo non “come un potere da esercitare ma come un servizio gratuito e generoso da offrire” (Cfr, PAPA FRANCESCO, Discorso di apertura dell’Assemblea del Sinodo sui giovani, 3 ottobre 2018).

Lo stile di Francesco: responsabilità, serenità, preghiera fiduciosa
Recentemente il giornalista vaticanista, Lucio Borrelli, nel suo ultimo libro: ‘Papa Francesco come l’ho conosciuto io’, il ritratto di un uomo divenuto Vescovo di Roma,(San Paolo, Cinisello Balsamo, 2020), traccia un ritratto molto interessante e per molti versi inedito dell’uomo, del sacerdote, del cardinale divenuto poi Papa e Vescovo di Roma. Il volume ha il pregio di far conoscere il volto autentico del prete argentino, profondamente austero e mistico, che sa essere amico e coltivare rapporti umani sinceri e diretti. (Cfr, Ivi, Capitolo, Prima le anime, pp.31-42). Francesco è il Papa della tenerezza, dei gesti istintivi, dei baci e delle carezze ai bambini e agli anziani, ammassati dietro le transenne alle udienze generali. Perciò non ha mai sopportato le recinzioni, gli sbarramenti, i diaframmi.
Molto interessante, perché rivela la visione responsabile che egli ha della sua missione, è quanto Borrelli scrive, a proposito di una eventuale dimissione dal pontificato per motivi di salute. L’Autore, riferendo il parere di amici, scrive che “il viaggio del Papa nella sua patria sarebbe l’ultimo dei suoi viaggi, perché Francesco da Buenos Aires annuncerebbe le dimissioni e non farebbe più ritorno a Roma” (Ivi, p. 185). Una volta concluso il suo ministero petrino, assumerebbe il nome di “Vescovo emerito di Roma”, meno ingombrante di quello di “Papa emerito”, per il Papa che verrà dopo di lui (Cfr, Ivi, cap. “Vescovo emerito di Roma”?, pp.183-186). Questo gesto sarebbe un segno evidente che Egli è consapevole della grave responsabilità inerente al suo ufficio.
La sua spiritualità, espressione della sua intima unione con Cristo, sintetizzata nell’assioma: “Chiesa povera e per i poveri”, ha come fondamento la misericordia divina, cioè “l’amore gratuito, realistico, creativo, interdipendente e responsabilizzante del Dio cristiano, che diventa un seme fecondante le coscienze, le chiese, gli uomini di buona volontà e, quindi, capace di avviare cammini di redenzione e sanazione storica” (Cfr, M. PRODI, Fonti metodo e orizzonte di Papa francesco a partire dai quattro principi. Applicazioni pratiche per l’oggi, pp.175-202, ivi p.193, in F. MANDREOLI, La teologia di Papa Francesco, EDB, , Bologna, 2019). Egli manifesta questo suo modo di essere con uno stile semplice e genuino, a volte pervaso da una ironia sottile, ma sempre sostenuto da una grande fede e dalla preghiera fiduciosa che, come egli spesso ripete, gli consente di “dormire come un legno e mantenere sempre una serenità di fondo, nonostante i mille pensieri e avversità” perché ha dentro di sé una pace “scesa su di lui il giorno della elezione” che rende più solida la sua fede. Perciò si affida a Dio con “la preghiera, molto tradizionale , fatta di rosari, adorazione eucaristica, tutte le sere dalle 19 alle 20 e le novene a Santa Teresina del Bambino Gesù, la sua santa preferita”(L. BORRELLI, op.cit., pp 111-112). Prega per la pace tra i popoli, per i sofferenti, per chi si prodiga per il bene degli altri, per i credenti e non credenti, per il mondo intero per cui Gesù si è sacrificato sulla croce. Anche chi non è religioso è affascinato dai suoi messaggi rassicuranti e dal suo volto segnato dal dolore che sembra farsi carico dei dolori di chi soffre e di chi si sente solo (M. TAMBURRINO, La messa alle 7 del mattino di Papa Francesco affascina con la sua semplicità credenti e laici, in “La Stampa”, 12 aprile 2020). Egli ha avuto coraggio nel correggere la politica della Chiesa italiana di questi ultimi anni che, con la difesa ad oltranza dei cosiddetti “valori non negoziabili”, aveva creato una frattura con il mondo contemporaneo.
Bergoglio, invece, alla luce dell’insegnamento del Concilio Vaticano II, concentra la sua attenzione sul rapporto profondo tra la parola di Dio e la storia. Dio ha sempre parlato “nella storia” e lo dimostra il rapporto che ha avuto con il suo popolo prediletto.
I Padri conciliari, consapevoli di essere inseriti in dinamiche straordinariamente nuove e ben lontane da essere concluse, che modellano “in modo diverso di un tempo la cultura e il modo di pensare” (Costituzione conciliare, Gaudium et spes, n. 5), hanno solo avviato “processi di riforma e di ripensamento e non hanno avuto più la pretesa dei loro predecessori di risolvere questi processi con formule blindate” (E. CAVALLOTTI, Istanze del rinnovamento teologico a partire dal Vaticano II, in “Concilium”, n. 3/2019, p. 141).Hanno perciò “cercato un modo nuovo di accostarsi al cuore della rivelazione cristiana” e poiché, ”l’antico binomio Scrittura-Tradizione non poteva racchiuderne la totalità”, è risultato evidente che, d’ora in avanti, ci si sarebbe dovuto “rivolgere alla storia della salvezza , cioè alla storia degli uomini, per cogliere la pienezza della rivelazione cristiana” (Ivi, p. 141), che, secondo la Costituzione conciliare Dei Verbum, avviene “con eventi e parole intimamente connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, e le parole dichiarano le opere ed il mistero in esse contenute. La profonda verità, poi, sia di Dio sia della salvezza degli uomini, per mezzo di questa rivelazione risplende a noi nel Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione” (n.2). Perciò, poiché la storia della salvezza è in continuo divenire, la Rivelazione, proprio perché si intreccia con la storia degli uomini, è suscettibile di approfondimento e di nuova comprensione.
La teologia scaturita dal Vaticano II e l’approfondimento dottrinale che ne è seguito hanno guidato Papa Francesco a fare proprio l’invito di Giovanni XXIII che, sul suo letto di morte, suggeriva di “difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica”, e di ricordare sempre che “non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.

Conclusione
Il libro di Borrelli, letto per intero, ci offre la migliore definizione di Papa Francesco che l’Autore riporta in alcuni articoli: “Un uomo la cui umanità, senza il dono della fede, sarebbe inimmaginabile”. Infatti l’essenza della spiritualità di Francesco è nella coerenza tra ciò che annuncia e la sua vita, ossia nell’essere un autentico testimone dell’amore di Cristo.
Questa sua intensa vita spirituale non gli impedisce di essere anche un conoscitore dell’animo umano e quindi di saper dosare e calibrare i suoi interventi. Come è accaduto, del resto, nell’Esortazione “Querida Amazonia” (Cara Amazonia). Si tratta di un testo “che presenta una nuova modalità nel suo rapportarsi al Documento finale del Sinodo” (“Il Regno – Documenti” n. 5,/ 2020 , 2° di copertina) e che ha lasciato un po’ delusi coloro che si aspettavano un’apertura sui cosiddetti viri probati e sui ministeri femminili. Nell’Esortazione il Papa dice chiaramente che non “intende né sostituire […] né citare il documento finale del Sinodo che però invita a leggere integralmente”. In questo modo Egli ha voluto da una parte dare impulso al processo sinodale e dall’altra garantire l’unità della Chiesa compiendo “un atto di riconciliazione”. Infatti, in una lettera “di 7 righe in spagnolo vergate con la sua calligrafia microscopica e inconfondibile” ha scritto al Cardinale Muller: “Caro fratello, molte grazie per il libro: Missione e dovere e per il documento sull’Esortazione post-sinodale Querida Amazonia, che mi è piaciuto” . E’ bastato quel “mi è piaciuto” per far passare in secondo piano le amarezze e le polemiche degli ultimi anni (Cfr, M. FRANCO, Francesco scrive a Cardinale Muller e tende la mano ai tradizionalisti, in “Corriere della Sera” 16 febbraio 2020). Approvando il contenuto del Sinodo sull’Amazzonia il Papa ha lasciato libertà alle chiese locali di esprimersi in merito, prospettando nuove soluzioni alla mancanza in loco di un numero sufficiente di presbiteri. Intanto ha indetto per ottobre del 2022 la celebrazione di un Sinodo con questo tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”, su cui i Vescovi saranno chiamati a discutere e a pronunciarsi.
Il pontificato di Bergoglio segnerà comunque un punto di non ritorno perché ha avviato, nella continuità con il magistero dei suoi predecessori, dell’insegnamento del Concilio Vaticano II e in linea con la Tradizione ecclesiastica, un notevole cambiamento che mette la Chiesa al passo con i segni del tempo. Si tratta di un processo già avviato che chiunque, dopo di lui, non potrà assolutamente trascurare.
Pantaleo Dell’Anna