LA PASTORALE PARROCCHIALE OGGI

Francesco è l’unica autorità internazionale che denuncia sistematicamente l’azione disgregante del sovranismo aggressivo e nello stesso tempo indica i temi imprescindibili da affrontare e risolvere al fine di costruire una “globalizzazione dal volto umano”.
Nell’imperversare della peste Covid-19, papa Francesco è l’unico leader mondiale che sta sostenendo a voce alta che non si può tornare al sistema economico-finanziario antecedente alla pandemia. “Da una crisi come questa non si esce uguali, ha rimarcato il Papa, si esce migliori o peggiori” (Cfr, M. POLITI, Francesco profezia a geopolitica,in “www viandanti.org”, 24 agosto 2020).
Questo messaggio geopolitico e profetico insieme vale anche per la comunità ecclesiale che deve utilizzare il particolare momento storico per rinnovarsi interiormente, partendo dalle parrocchie che dovrebbero diventare veri e propri centri propulsori dell’incontro con Cristo. Per far ciò occorre, in primo luogo, dismettere per sempre il modello ormai superato della parrocchia tridentina coincidente con un territorio. La comunità ecclesiale si forma, o si riforma, attorno a una proposta del Vangelo non teorica ma viva ed incarnata nelle persone e quindi senza confini. La nuova evangelizzazione, che la Chiesa è chiamata oggi a promuovere, richiede anche la riforma delle strutture (Cfr, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 24 novembre 2013, n.287).

La parrocchia nel Vaticano II
Il termine “parrocchia” deriva dal greco paroikia che significa “abitazione provvisoria”, ossia comunità di pellegrini che camminano verso la vera patria, a somiglianza del popolo ebreo in cammino verso la Terra promessa..
La parrocchia, che nella vita quotidiana della Chiesa è una realtà di primissimo piano, non figura tra i temi principali del Concilio Vaticano II che, nella Costituzione Lumen Gentium (LG), ha invece ben approfondito il dinamismo interiore dell’unità della Chiesa, che non esclude la varietà e si realizza nella comunione dei vescovi attorno al Papa.
Il cuore della riflessione ecclesiologica del Concilio si proietta nel vissuto delle chiese diocesane che sono chiamate a vivere la parrocchia nel contesto e nella concretezza delle diverse situazioni.
Nondimeno il Concilio, nelle poche affermazioni dedicate direttamente alla parrocchia, ne ha disegnato una immagine ben precisa.
La costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium (SC) sulla liturgia dà inizialmente una definizione piuttosto descrittiva della parrocchia dicendo, che poiché il “Vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l’intero suo gregge”, deve costituire “dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie costituite localmente”. Successivamente ne precisa l’intima natura affermando che esse “ rappresentano in certo modo la chiesa visibile stabilita su tutta la terra” e conclude dicendo che “ bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della Messa domenicale” (Ivi, n. 42). La comunità parrocchiale è quindi la Chiesa di Cristo nella sua totalità e costituisce “il popolo nuovo chiamato da Dio, nello Spirito Santo e in una totale pienezza” (Cfr, 1Ts, 1, 5). In essa “con la predicazione del Vangelo di Cristo vengono radunati i fedeli e si celebra il mistero della Cena del Signore” e, sebbene spesso piccole, povere e disperse, rendono presente Cristo, per virtù del quale si costituisce la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica” (LG, n. 26). Per cui “le assemblee locali di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie […], rappresentano in certo modo la chiesa visibile stabilita su tutta la terra” (SC , n. 42), anche se solo la diocesi è chiesa in senso pieno, mentre la parrocchia lo è in senso subordinato in quanto inserita vitalmente nel contesto della propria chiesa locale in unione con il Vescovo (cfr,SC, n. 42; LG, nn. 26 e 28; Decreto sui Vescovi Christus Dominus CD, n. 30. Il decreto sull’apostolato dei laici Apostolicam Actuositatem esorta i Parroci e i loro cooperatori a svolgere la loro funzione in modo che i fedeli e le comunità parrocchiali, che esercitano la triplice funzione costitutiva della Chiesa: l’annuncio della Parola , la celebrazione della Eucaristia e l’unità nella carità (cfr, LG, n. 26), si sentano realmente membri non solo della diocesi, ma anche della Chiesa universale. La sua identità, secondo il Concilio Vaticano II, si attua al suo interno, stabilendo rapporti di amore tra i membri del Popolo di Dio ed all’esterno, aprendosi al mondo che non è da condannare ma da comprendere. La sua missione infatti è coinvolgere tutti, anche i più .lontani per realizzare il testamento di Gesù: “che tutti siano una cosa sola” (Gv, 17, 21),
Papa San Giovanni Paolo II nella Esortazione apostolica Christifideles Laici del 30 dicembre 1988 conferma questa visione della parrocchia, quando scrive che “la comunione ecclesiale […] trova la sua espressione più immediata e visibile nella parrocchia […] che è in un certo senso la chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie[…], per cui “non è principalmente una struttura , un territorio, un edificio, è piuttosto “la famiglia di Dio, come una fraternità animata dallo spirito di unità […] una casa di famiglia, fraterna ed accogliente (n. 26).

L’Istruzione sulla pastorale: parrocchia e territorialità
La Congregazione per il Clero ha pubblicata il 29 giugno 2020 l’Istruzione “La conversione pastorale della comunità parrocchiale al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa” (CP), che tratta ovviamente della cura pastorale delle comunità parrocchiali e, in particolare, della responsabilità di tutti i battezzati che nella Chiesa, la grande ed unica famiglia di Dio, trovano il loro posto nel rispetto della propria vocazione.
Si tratta di uno strumento canonico-pastorale che propone un progetto di riforma delle comunità parrocchiali e sottolinea l’importanza del ruolo del parroco nella missione evangelizzatrice della Chiesa. La riflessione è preceduta da un cenno storico sulla parrocchia e sulla figura del Parroco, che ora è decisamente cambiata sia culturalmente che antropologicamente.
Ciò mi riporta indietro negli anni a ricordare la figura del primo Parroco delle mia parrocchia d’origine, Mons. Salvatore Nestola, che ha costituito un punto di riferimento per Copertino e per la diocesi di Nardò nel secolo scorso. La comunità parrocchiale nel 2000, in occasione dei 25 anni dalla sua morte, lo ha ricordato ed ha distribuito ai fedeli la sua biografia dal titolo significativo: “Il Parroco”, perché questo termine sintetizzava tutta l’azione pastorale di Mons. Nestola. Le circa 100 copie di questo testo, però, rimaste in deposito, che erano l’unica testimonianza di un passato decisivo e fecondo nella vita della parrocchia, i cui effetti positivi sono visibili anche oggi, e che sarebbero potute servire alle giovani generazioni di preti e laici, con un gesto tanto inspiegabile quanto imprevedibile, chi ne aveva la cura ha scelto di inviarle al macero. Comunque lo si voglia guardare e qualunque sia il motivo che lo ha ispirato, questo gesto resta un gesto di suprema banalità e superficialità.
Il documento della Congregazione è diviso in due parti. I capitoli 1- 6 approfondiscono la “ecclesiologia della parrocchia” e riportano molti testi dei documenti conciliari e della Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, che prospettano nuovi orizzonti pastorali in una società che cambia in continuazione ed è sostanzialmente diversa da quella precedente.
L’Istruzione è un invito alle parrocchie ad “uscire da se stesse”, mentre offre gli strumenti per una riforma “orientata a uno stile di comunione e di collaborazione, di incontro e di vicinanza, di misericordia e di sollecitudine per l’annuncio del Vangelo” (Ivi, n. 2). La conversione missionaria, per essere efficace, richiede “naturalmente anche una riforma delle strutture” per cui “la configurazione territoriale della parrocchia è chiamata oggi a confrontarsi con una caratteristica peculiare del mondo contemporaneo: l’accresciuta mobilità e la cultura digitale che hanno dilatato i confini dell’esistenza”(Ivi, n. 8). “Ormai la nostra gente si aggrega in maniera del tutto diversa rispetto ai confini parrocchiali -scrive Giacomo Gambassi, citando Don Rapaccini- e più che una dimensione istituzionale ha bisogno di percorsi d’accompagnamento e di sostegno personalizzati, anche perché le storie di fede che ciascuno vive sono davvero variegate. Perciò la scelta di camminare insieme , oltre qualsiasi delimitazione territoriale, funziona” (“Le comunità? Ormai senza più confini: Mai esistite le tariffe”, in “Avvenire” , 21 luglio 2020). Don Rapaccini, Parroco della Concattedrale di Sansepolcro (Arezzo), continua, dicendo che si può andare a messa in una parrocchia diversa dalla propria perché oggi le barriere sono “destinate a essere superate se intendiamo sviluppare l’arte della vicinanza alle persone”, la cui vita si identifica sempre meno con un dato contesto culturale e sociale ed assume rapidamente sempre nuovi rapporti umani. “L’avvicendarsi dei modelli culturali, la facilità degli spostamenti e la velocità della comunicazione stanno trasformando anche la percezione dello spazio e del tempo” (CP n.8).

L’Istruzione sulla pastorale: la conversione pastorale
Il Concilio di Trento, dal punto di vista storico-ecclesiastico, ha dato ordine e stabilità alla parrocchia, mentre il documento recente che propone una “conversione pastorale della comunità parrocchiale” affida al parroco, stretto collaboratore del Vescovo, la guida di una comunità di battezzati che supera “tanto la vecchia concezione autoreferenziale della parrocchia, quanto la clericalizzazione della pastorale”. Il Parroco è perciò “servitore del Popolo di Dio che gli è stato affidato e non può sostituirsi ad esso”,perché “ogni battezzato si deve scoprire protagonista attivo della evangelizzazione” ( Ivi, n. 39).
La seconda parte dell’Istruzione è normativa e ripropone le disposizioni già in vigore nel Codice di Diritto Canonico che è restato in larga parte quello tridentino.
Il richiamo ad essere attenti al mondo che cambia, contenuto nella Istruzione, deve aprire nuovi orizzonti pastorali e un dialogo costruttivo col mondo contemporaneo. Molti “non praticanti” non frequentano la parrocchia perché essa non si adegua alla dinamicità della vita di oggi. Una comunità parrocchiale statica, chiusa in se stessa, che non riesce a cogliere i segni dei tempi non può certamente essere partecipe della missionarietà della Chiesa.
In questa prospettiva anche la catechesi tradizionale è superata sia nel contenuto che nello stile, in quanto la vita cristiana si fonda sulla testimonianza e sulle esperienze dirette. Infatti “venite e vedete” disse Gesù ai primi due discepoli che gli chiedevano chi fosse (Gv. 1, 38-39).
Il clericalismo, che Papa Francesco ha ripetutamente condannato, è vivo ed operante. Esso, per usare una espressione del teologo Andrea Grillo, sostituisce alla Chiesa i suoi ministri che anziché “servire” Cristo e la Chiesa si pongono invece “come Cristo e come Chiesa” e trasformano la “autoreferenzialità” in regola fondamentale della l’organizzazione pastorale. (Cfr, Ministeri, liturgia, eucaristia. Opportunità ad là del clericalismo, in La liturgia come schermo e la tentazione della “semplice amministrazione”, in “Come se non”, 14 settembre 2020). Questa visione distorta, ma piuttosto diffusa, la maggior parte del clero la fa propria fin dagli anni del Seminario e poi la trasforma in regola del suo ministero. Il superamento della cultura “clericale” passa attraverso una visione della Chiesa Popolo di Dio che ha il momento culminante nella liturgia, da non confondere, come solitamente avviene, con il rubricismo.
Quello che va ridisegnato è il modello organizzativo della parrocchia, il modo concreto di essere chiesa oggi, cui sottende un mutamento sostanziale della cultura organizzativa fin qui imperante. Non più piramidale, ma sempre più orizzontale in cui le decisioni si configurano come punto di sintesi, frutto della partecipazione e dell’ascolto della comunità dei credenti tutta, laici e clero. Questo postula ovviamente un cambiamento metodologico che ha difficoltà ad essere accettato, ma che, se attivato, non mancherà di dare i suoi buoni frutti.
Certamente non mancano in alcune chiese locali i tentativi di organizzare nuove esperienze pastorali, come la stessa Istruzione conferma (Cfr. n. 1). Ho l’impressione però che la maggior parte delle diocesi in Italia fatichi a star dietro alle indicazioni dell’ultima Istruzione. La concezione della parrocchia che generalmente continua a persistere è quella tridentina con natura prettamente giuridica.
E’ questa visione che porta spesso il Parroco a considerare la parrocchia come una cosa propria di cui può disporre liberamente. Si lamenta se i fedeli non la frequentano e ne preferiscono un’altra. Però difficilmente si interroga e va a ricercare i motivi per cui ciò avviene. Non è infrequente poi ascoltare parroci che alzano la voce per affermare il”sacrosanto diritto della territorialità” o che, per ovviare alla scarsa frequenza della propria parrocchia, fanno chiudere le rettorie esistenti nel territorio parrocchiale, condannando così all’estinzione le varie associazioni che i Rettori del tempo avevano istituito e curato. Senza ottenere peraltro alcun concreto riscontro.

Conclusione
A prima vista l’Istruzione dà scacco matto al clericalismo nelle parrocchie. Consentire ai laici di celebrare battesimi, matrimoni, funerali può avere il sapore della novità assoluta per buona parte dei cattolici italiani secondo i quali la Chiesa, in Italia, inizia e finisce con il prete.
La Chiesa auspicata da Papa Francesco non è quella statica, chiusa in se stessa ma è invece, come ha scritto nella sua Enciclica “Fratelli Tutti” pubblicata ad Assisi il 3 ottobre scorso, “una casa con le porte aperte perché è madre” (citava il suo discorso alla comunità cattolica di Rakovskyil in Bulgaria il 6 maggio 2019), una Chiesa, ha aggiunto, “che serve, che esce di casa, che esce dai suoi templi, dalle sue sacrestie, per accompagnare la vita, sostenere la speranza , essere segno di unità […] per gettare ponti, abbattere muri, seminare riconciliazione” (citava la sua Omelia della Santa Messa a Santiago di Cuba il 22 settembre 2015) (n. 270).
Il motto: “nulla sarà come prima”, diventato di moda, rischia di rimanere sterile se non si inizia a lavorare da subito sulla novità da costruire. Il rischio è quello di produrre nuove riunione sui massimi sistemi e dai minimi risultati, facendo entrare dalla finestra ciò che è stato cacciato dalla porta e sprecando, ancora una volta, una opportunità che ci viene offerta e che i credenti attendono.

Pantaleo Dell’Anna