HANS KUNG, teologo eretico o profetico?

Nel tardo pomeriggio del 6 aprile scorso è morto, nella sua casa a Tubinga in Germania, uno dei più grandi teologi degli ultimi cento anni, Hans Kung. Nato in Svizzera a Sursee il 19 marzo 1928, ordinato sacerdote nel 1954, frequentò l’Università Gregoriana di Roma e l’Istituto cattolico di Parigi e, insieme al Papa emerito Ratzinger, partecipò come teologo esperto al Concilio Vaticano II.
Grande studioso della teologia cattolica e della storia delle religioni era noto internazionalmente per il suo atteggiamento critico nei confronti della dottrina della Chiesa cattolica.
Dopo aver conseguito il dottorato in teologia, a soli 32 anni, fu chiamato ad insegnare come professore ordinario presso la facoltà di teologia cattolica di Tubinga, il centro più importante della teologia tedesca. La sua riflessione teologica lo portò ad essere veramente cattolico, ossia universale, in quanto aspirava ad unire il più possibile gli esseri umani. Più che cattolico-romano egli volle essere cattolico-universale, cioè un uomo tra gli uomini a servizio del bene dell’umanità intera, come Ernesto Balducci, Raimon Pannikkar, Leonard Boff, Carlo Maria Martini.
Per la sua teologia progressista, controcorrente, critica, ribelle soprattutto verso il dogma dell’infallibilità del Papa, definito nel Concilio Vaticano I, è stato da alcuni osannato e da altri biasimato. Nella sua riflessione teologica si è mosso sempre sulla linea di confine, ove passato e presente si incontrano, si scontrano e si confrontano; dove si cerca di costruire ponti, come dice Francesco, e riannodare legami spezzati.
Non venne però né sospeso a divinis, né scomunicato per cui, stando al Codice di diritto Canonico (can. 1364), non fu mai giudicato eretico e gli fu riconosciuta sempre grande onestà intellettuale. Il suo vigore teologico ha fatto senz’altro del bene alla Chiesa cattolica come, forse tardivamente, riconosce la stessa Pontificia Accademia per la Vita in questo tweet: “Scompare davvero una grande figura nella teologia dell’ultimo secolo, le cui idee e analisi devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura” (Cfr, D. AGASSO, Addio al teologo svizzero Hans Kung in “la Stampa”, 8 aprile 2021).
Gli va altresì riconosciuto che fu sempre animato da una profonda fede e da una grande fedeltà al Vangelo. Le sue posizioni critiche nei confronti della dottrina tradizionale della Chiesa cattolica erano determinate non dal desiderio di mettersi in mostra, ma da una profonda riflessione bibblico-teologica e storica. Nella sua vita si era ispirato alle parole dell’Apostolo Paolo: “O profondità della ricchezza della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! […]. Poiché in Lui, per mezzo di Lui e per Lui sono tutte le cose. A Lui la gloria nei secoli. Amen (Rom,11, 33-36)” (cfr, D. AGASSO cit che riporta la citazione).
La complessità del suo argomentare teologico si nota già nella sua tesi di dottorato “Giustificazione: la dottrina di Karl Barth e una riflessione cattolica, del 1957, dove il giovane Kung, analizzando l’analisi fatta dal famoso teologo e pastore riformato svizzero Karl Barth (1886-1968), concluse che, sia pure con paradigmi apparentemente inconciliabili, cattolici e protestanti affermano la stessa dottrina sulla giustificazione la quale, detto in un modo molto semplice, è l’azione con cui Dio rimette i peccati e dà agli uomini uno stato d’innocenza. Essa comporta un aspetto negativo, la remissione dei peccati, e uno positivo, la creazione dell’uomo nuovo. Cattolici e protestanti per lungo tempo ne hanno discusso. I cattolici sostenevano che la giustificazione rendeva l’uomo completamente nuovo, mentre i luterani ritenevano che la giustificazione cancellasse il peccato, pur permanendo sempre nell’uomo la condizione di peccatore. Sintetizzando, Barth pone l’accento sulla condizione umana di peccatore, mentre la Chiesa cattolica sull’intima trasformazione dell’uomo attraverso la grazia. Molti non sono riusciti a comprendere il senso del discorso di Kung che mirava ad evidenziare i punti d’incontro con il teologo luterano e lo hanno bollato come uno che aveva difeso la dottrina protestante di Barh sulla giustificazione e non come uno invece che aveva posto le basi della famosa intesa che, tra qualche anno, la chiesa cattolica e la Federazione luterana avrebbero firmato.
Dopo il Concilio Vaticano II, infatti, Il dialogo avviato tra la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale portò, il 31 ottobre 1999, alla firma della seguente dichiarazione congiunta cattolico-luterana sulla dottrina della giustificazione: “Insieme crediamo che la giustificazione è opera di Dio uno e trino[…]. Insieme confessiamo che non in base ai nostri meriti, ma soltanto per mezzo della grazia, e nella fede nell’opera salvifica di Cristo, noi siamo accettati da Dio e riceviamo lo Spirito Santo, il quale rinnova i nostri cuori, ci abilita e ci chiama a compiere le opere buone” (Cfr,Nuovo dizionario teologico interdisciplinare, Bologna, EDB, 2020, alla voce, Grazia e peccato, p. 458; L. SANDRI, Tutte le eresie di Hans Kung, maestro profondo e ardimentoso, in “Confronti”, maggio 2021).

Concilio Vaticano I e dogma della infallibilità pontificia.
L’8 dicembre 1869, quando Pio IX (1846-1878) aprì il concilio Vaticano I, in pieno conflitto tra Chiesa e modernità, apparve chiaro che scopo del Concilio era definire come dogma di fede l’infallibilità del Papa per rafforzare il suo potere spirituale. Dopo sfibranti trattative tra le diverse posizioni presenti nell’episcopato, poiché la corrente a favore della infallibilità pontificia era maggioritaria, il 18 luglio 1870, nel corso di un temporale che oscurò il cielo di Roma, fu approvata la costituzione dogmatica Pastor Aeternus che affermava, nel capitolo III, che il Romano Pontefice ha “il pieno e supremo potere di giurisdizione su tutta la Chiesa, non solo per quanto riguarda la fede e i costumi, ma anche per ciò che concerne la disciplina e il governo della Chiesa”, mentre nel capitolo IV definiva “dogma rivelato da Dio che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè quando esercita il suo supremo ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, e in forza del suo supremo potere Apostolico definisce una dottrina circa la fede e i costumi, vincola tutta la Chiesa, per la divina assistenza a lui promessa nella persona del beato Pietro, gode di quell’infallibilità con cui il divino Redentore volle fosse corredata la sua Chiesa nel definire la dottrina intorno alla fede e ai costumi; pertanto tali definizioni del Romano Pontefice sono immutabili per se stesse e non per il consenso della Chiesa”.
Il Concilio, interrotto per lo scoppio della guerra tra Francia e Prussia, fu sospeso definitivamente con la presa di Porta Pia, il 20 settembre 1870, e chiuso formalmente, dopo quasi cento anni, nel 1960 da Giovanni XXIII, prima dell’apertura del Concilio Vaticano II.
Sintetizzando, nel Concilio Vaticano I furono definiti quindi il primato del Papa su tutta la Chiesa cattolica e la infallibilità del Pontefice in materia “di fede e di costumi” quando parla “ex cathedra”.
La infallibilità pontificia divenne un problema politico per l’Europa, in quanto un Papa infallibile destabilizzava tutti i poteri costituiti e diventava una minaccia per l’autonomia e l’indipendenza degli Stati nazionali, proprio nel momento in cui cessava il potere temporale dei Papi con la presa di Porta Pia.
L’affermazione assoluta del primato del Papa sulla Chiesa di Cristo costituiva altresì un grave ostacolo per la realizzazione “ dell’unità nella diversità” tra chiesa cattolica, protestanti e fratelli ortodossi, unità fortemente voluta da Gesù e continuamente auspicata da Papa Francesco. Kung, con un’accurata analisi del Nuovo Testamento prospettava, al posto del primato del Papa sulla Chiesa universale, una soluzione ecumenica e considerava perciò il primato papale non di potere ma di servizio.
Molto più radicale e condotta con uno stile pungente fu la critica al dogma della infallibilità pontificia che, secondo Kung, non poteva essere dedotta né dalla Bibbia né dalla Tradizione ecclesiale e mal si conciliava inoltre con alcuni pronunciamenti dei papi, nella storia della Chiesa, non privi di errori.
La conclusione del teologo Kung era perciò che il Papa non è infallibile bensì indefettibile, ossia che non cade in difetto. Vale a dir che la Chiesa, al netto degli errori, non viene mai meno, non a motivo di proposizioni a priori infallibili, ma per la continua assistenza divina, a somiglianza di quanto avviene nella interpretazione della Bibbia, nella quale l’ispirazione divina, e quindi la inerranza del testo, non è delle singole espressioni letterarie, ma del contenuto di fondo e delle verità che emergono dal contesto.
La polemica divenne incandescente con la pubblicazione nel 1970 del libro di Kung Infallibile?. All’interno del cattolicesimo era la prima volta che si levava una voce così importante contro l’infallibilità papale. Su mandato di Paolo Vi nel 1975 il cardinale Franjo Seper, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ammonì Kung, scrivendo: ”l’opinione che pone almeno in dubbio lo stesso dogma di fede della infallibilità della Chiesa e lo riduce ad una certa fondamentale indefettibilità della Chiesa nella verità, con la possibilità di errare nelle sentenze che il suo Magistero in modo definitivo insegna a credere, contraddice la dottrina definita dal Concilio Vaticano I e confermata nel Vaticano II”. Kung non prese in considerazione il monito e il Cardinale Seper, su mandato del successore di Paolo VI, San Giovanni Paolo II, nel 1979 gli revocò l’autorizzazione a insegnare teologia cattolica. Questa sentenza fece perdere a Kung la cattedra, ma sempre a Tubinga egli ebbe subito quella di teologia ecumenica, istituita proprio per lui e sottratta ad ogni ingerenza vaticana.
I motivi del dissenso riguardavano anche altri argomenti, tra cui,la funzione della gerarchia ecclesiastica, i criteri delle nomine dei Vescovi, il ruolo della donna, la sessualità, l’eutanasia , il celibato sacerdotale , la libertà della ricerca teologica.

Kung docente di teologia ecumenica
Nel nuovo ruolo di docente di teologia ecumenica, Kung si dedicò al dialogo tra le religioni e pubblicò tre poderosi volumi sul Cristianesimo, sull’Ebraismo e sull’Islam nel loro sviluppo storico per contribuire alla corretta conoscenza di queste religioni che hanno una radice comune, evidenziandone gli elementi convergenti e quelli divergenti. Egli era profondamente convinto che “non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni, non c’è pace tra le religioni senza un dialogo tra le religioni e non c’è dialogo senza la conoscenza dei fondamenti delle religioni” (Cfr, G: PALASCIANO, a cura, Non c’è pace senza dialogo, in “Il Regno Attualità” n. 8, 2021 pp.207-211).
Contemporaneamente approfondì anche temi che riguardano la vita quotidiana delle persone come, contraccezione, aborto, divorzio, eutanasia offrendo sempre prospettive liberanti, spesso difformi da quelle ufficiali della Chiesa cattolica, ma sempre rispettose della libertà di coscienza delle singole persone.
La sua concezione della Chiesa cattolica, per dirla con una espressione molto nota di Papa Francesco, era di una Chiesa aperta a tutti e di un ospedale da campo.
Era necessario perciò che i cattolici si ponessero in ascolto delle altre religioni, degli atei e della modernità, non per andare verso un sincretismo religioso, ma per comprendere meglio l’essenza del cristianesimo e della Chiesa cattolica che, per Kung, non rappresenta una eterna istituzione, con a capo un papa infallibile. Per Kung la Chiesa è in continuo divenire e non ci si deve meravigliare se talvolta è andata anche fuori strada. Il Nuovo Testamento ce l’ha descritta come una comunità che ascolta la Parola di Gesù, celebra il banchetto che unisce tutti i credenti tra di loro e con Cristo Salvatore ed è chiamata, nonostante sia composta da peccatori, ad essere testimone dell’amore di Dio nel mondo di oggi e di fratellanza con le altre confessioni. La Chiesa, se vuole essere tutto ciò, deve ritornare alla sue origini, riformarsi di continuo, perché non è immune dalla tentazione di esercitare il potere, di diventare un sistema disumano attento solo all’osservanza di regole auto-costruite e pronta ad escludere coloro che scelgono altre strade. Nella Chiesa possiamo “vivere , agire , soffrire e morire in modo veramente umano, dice Il teologo Hans Kung, ricordando sempre che “l’amore di Dio non protegge da ogni sofferenza , ma protegge in ogni sofferenza”. Per questi motivi Kung, con l’insegnamento di teologia ecumenica, ha allargato il suo orizzonte, ha avviato uno studio per la comprensione delle religioni mondiali e si è impegnato nella creazione di una etica mondiale della pace. (Cfr,Wolfgang GRAMER, Requiem per Hans Kung, in”settimananews” del 26 aprile 20231).
Senza addentrarci nella complessa questione teologica, si può rilevare che le affermazioni del vaticano I sul primato e sulla infallibilità pontificia non furono ben accette non solo alle chiese cristiane e ai fratelli ortodossi, ma anche ad una parte del mondo cattolico.
Interessante a tal proposito il giudizio di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti e Vasto che, in una breve intervista, ha recentemente precisato che Kung, nonostante “il suo spirito pungente” e “a volte i toni aspri che facevano parte del travaglio del post Concilio“, è stato di “grande stimolo per la Chiesa”.Infatti la sua contestazione “era soprattutto verso un modo di interpretare staticamente l’infallibilità del Papa”, convinto che “la verità non è qualcosa che si possiede e quindi di cui si può disporre a piacimento […], ma ha un aspetto dinamico, che era quello su cui Kung insisteva” (cfr, D. AGASSO, Hans Kung, monsignor Forte: Di grande stimolo per la Chiesa, la attaccava perché l’amava, in “La Stampa”, 7 aprile 2021).
E’ su questa linea la testimonianza del Cardinale Kasper, nell’intervista rilasciata a Gian Guido Vecchi sulla fecondità spirituale della teologia di Kung che “aveva la capacità di parlare un linguaggio comprensibile a tutti, di spiegare la religione agli altri, aiutando “molti ad entrare nella fede o a rimanere nella Chiesa” (cfr, Kasper: “Kung era in pace con la Chiesa. Francesco lo benedisse“, in “Corriere della Sera”, 8 aprile 2021). In un articolo su “L’Osservatore Romano” dello stesso giorno, Kasper chiarisce ancora il suo pensiero, aggiungendo che Kung “criticava a modo suo, duramente”, ma possedeva “un linguaggio comprensibile a tutti quando spiegava la religione a quanti erano lontani o si erano allontananti dalla fede e dalla Chiesa” (N. GORI, Il Cardinale Kasper ricorda Hans Kung. Tra critica e desiderio di riforma), rimarcando però sempre la sua adesione alla Chiesa. Perciò disapprovava che la sua opera venisse riassunta solo come “critica del Papa e della Chiesa”.
Molti suoi ammiratori gli hanno chiesto di lasciare la Chiesa cattolica, ma lui non lo ha mai fatto. Diceva solo che il protestantesimo aveva percepito delle cose giuste che il cattolicesimo doveva accettare. L’unità della Chiesa era per lui un problema già risolto per quanto riguarda gli aspetti dottrinali. Gli ostacoli che restavano erano, a suo avviso, essenzialmente di natura culturale o istituzionale.

Hans Kung e i Papi del suo tempo
Il 9 marzo del 2016, Kung, in un appello pubblicato in più lingue da diversi giornali di tutto il mondo, chiese a Francesco “una libera discussione sull’infallibilità” (H. KUNG, Aboliamo l’infallibilià del Papa, in “La Repubblica”, 9 marzo 2016). Francesco gli rispose il 20 marzo successivo in maniera fraterna, con un manoscritto in lingua spagnola, rivolgendosi a lui con l’espressione tedesca “Lieber Mitbruder cioè “Caro Fratello”. Kung, in una dichiarazione rilasciata a due giornali di lingua inglese, pubblicata dal sito italiano del movimento “Noi siamo Chiesa. org” ripropose l’intero iter della sua richiesta e della risposta del Papa ricevuta tramite la nunziatura apostolica di Berlino. Non ha però mai reso pubblica la lettera per riservatezza verso il Papa (cfr, H. KUNG e D. CODAY, Hans Kung dice che Francesco ha risposto alla sua richiesta di una libera discussione sul dogma della infallibilità del papa, in “ncronline” del 26 aprile 2016; A. BOBBIO, Infallibilità, il Papa a Kung: La discussione resta aperta, “Famiglia cristiana”, 28 aprile 2016).
Quando il Cardinale Kasper gli riferì che Papa Francesco gli aveva chiesto “di trasmettergli i suoi saluti e le sue benedizioni”, Kung si sentì “in pace con la Chiesa e con Francesco, una sorta di riconciliazione” (cfr, Kasper: “Kung era in pace con la Chiesa. Francesco lo benedisse“ cit).
Nei confronti di Benedetto XVI Kung aveva ipotizzato una possibile svolta il 24 settembre 2005 quando, nella residenza estiva di Castel Gandolfo, ebbe una lunga conversazione con lui, che si rivelò di lì a poco una illusione. I rapporti rimasero freddi e distanti tant’è che, dopo alcuni anni, egli scrisse a Benedetto manifestandogli tutta la sua delusione e definendolo un papa della restaurazione e “anticonciliare” perché contro il dialogo con le altre religioni.
Dopo la revoca della “missio canonica” per insegnare teologia cattolica, Kung divenne il maggiore critico del pontificato di San Giovanni Paolo II e del ruolo svolto dal suo ex collega Ratzinger, diventato nel 1981 prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Dopo la morte di Wojtyla, Hans Kung scrisse un articolo, rintracciabile nel secondo volume delle sue memorie (Verità controverse. Ricordi) pubblicato in Germania ed in Italia dal “Corriere della Sera” del 2 gennaio 2006, in cui evidenziava le tante contraddizioni di quel pontificato e specialmente la persecuzione, da parte di Wojtyla, dei più importanti teologi del suo tempo come Schillebeeckx, Boff, Bulanyi, Curran, Fox, Drewermann e la riduzione al silenzio di tanti altri. Con decisione, ma anche con un pizzico di ironia, aggiungeva: “Quando verrà il momento il nuovo papa dovrà decidere di affrontare un cambio di rotta e dare alla Chiesa il coraggio di nuove spaccature, recuperando lo spirito di Giovanni XXIII e l’impulso riformistico del Concilio Vaticano II”.
I Papi Wojtyla e Ratginger hanno sostenuto che le novità conciliari andavano interpretate in continuità con la Tradizione ecclesiale ma, precisava Kung ironicamente, si riferivano a quella che risale al periodo medioevale ed ellenistico e quindi non ammettevano che il Vaticano II avesse provocato una rottura col passato, per esempio, sul riconoscimento della libertà religiosa, combattuta da tutti i papi anteriore al Concilio.

Conclusione
Proporre una riforma della Chiesa in questi ultimi anni sembra che non porti fortuna. Si pensi a Rosmini, Fogazzaro, Mazzolari, Lercaro perseguitati più che osannati. Mi limito a ricordare Rosmini con il suo libro, Delle cinque piaghe della Chiesa (1848) che segnalava, tra l’altro, l’insufficiente formazione dei preti e la non sempre trasparente nomina dei Vescovi. Il libro fu messo all’indice e Rosmini condannato, come eretico, dopo la morte. Le sue idee però le ritroviamo oggi nei documenti conciliari. Domenica, 18 novembre 2007, ha avuto luogo a Novara il rito di beatificazione di quest’uomo, autorizzata da Papa Benedetto XVI. Il rito ha concluso il lungo percorso che vide complesse e dolorose vicende, sorte già durante la vita di Rosmini e proseguite anche dopo la sua morte.
Il teologo Hans Kung subirà la stessa sorte? Mi auguro di no. Ma questo dipenderà dall’interesse con cui i cattolici si impegneranno ad assimilare una nuova cultura dell’ascolto, del dare la parola, del far spazio a tutti, anche ai non credenti. Ciò renderebbe la comunità ecclesiale più partecipata, più viva e più simile a quella voluta da Gesù. E’ in questo modo che si potrà dare una mano a Papa Francesco che nel suo magistero, seguendo l’insegnamento del Cardinale Carlo Maria Martini, sostiene che nella Chiesa Il primato va dato al Vangelo, non ai valori. Una precisazione di natura teologica che ci fa comprendere le divisioni di oggi dei cattolici, molti dei quali si rifugiano nella dottrina, dimenticando il Vangelo. Occorre ritornare alla teologia roncalliana, scrive lo storico Alberto Melloni, che crede che “solo unità e comunione possano liberare il Vangelo e quella sua forza sanante, che oggi sembra imprigionata da narcisismi febbricitanti, politicismi banali e fervorini semplicisti” (Il Sinodo della penitenza, in “La Repubblica”, 22 maggio, 2021)

Pantaleo Dell’Anna