Tu scrivi che… emozioni a quattro mani: dedicato a don Giuseppe

Natale: la stella…
Un’enorme stella, costruita con anima di ferro e rivestimento in plastica tubolare, svettava ad ogni Natale sul tetto a capanna della facciata. La chiesa, con quella stella accesa, dondolante nel vento e flessibile al maestrale, era inconfondibile dai tetti di tutto il circondario e accoglieva, con il suo timido fascino, chiunque si apprestasse ad imboccare quella piazzetta. Quando la si scorgeva brillare era la festività dell’Immacolata, con qualche giorno di ritardo quella di Santa Lucia. Per issarla proprio lì, sul punto più alto del tetto, si faceva aiutare da qualcuno, quasi sempre dal più forzuto, anche da più. Così, avvolti in sciarpe, berretti e piumini, si salivano le scale che portavano in terrazza, prima che il tramonto lasciasse spazio al buio serale. I preparativi cominciavano giorni prima. Lui si portava nello studiolo l’intero groviglio del tubo luminescente e cominciava ad ispezionarlo, con minuzia, palmo palmo, per timore che, una volta issata simile stella, potesse poi non brillare a causa di intoppi elettrici. Il freddo tagliava la faccia, intrappolava le mani intorno a quel bastone duro come granito, fermo e solido sul tetto come un albero maestro al centro di una barca, sulla cui cima, proprio come una vela, svettava quella cometa spartana. Si gelava, ma lui, temerario come sempre, doveva issare la sua stella, lì, sulla sommità della chiesa, appena il calendario liturgico scoccava l’avvento. Un parroco a dir poco testardo, determinato, legato a certi rituali con lo stesso stupore tipico di un bambino. Solo quando la stella si accendeva, anche sul suo volto tornava il sorriso, lo sguardo fiero di chi si prende sempre il merito delle imprese ben riuscite…tutto cambiava molto presto però, non appena la gratitudine, e quel vizio di dire sempre grazie, diventavano un caffè e una colazione al bar, la mattina, tra una messa cantata e l’altra, un libro, oppure un cd musicale.
La notte di Natale la chiesa traboccava da ogni angolo, in ogni crocicchio di navata si metteva una sedia, si infilava uno scanno, si preparava tutto fino al tardo pomeriggio: i fogli della liturgia, l’incensiere, le candele vere e la cera liquida, i fiori, il lezionario, le tovaglie, il tappeto, il tabernacolo ben lucidato, gli amboni e tutti gli accessori liturgici, il cartellone con i pupazzetti colorati che rappresentavano il vangelo, il fuoco che prendeva da casa di Angelina, nel piccolo pentolino bucherellato, che avrebbe bruciato i grani di incenso per la celebrazione. Poi, quando finalmente ogni dettaglio era al posto giusto, lui girava la chiave e si rintanava sulla sedia, dietro la scrivania colma di libri, fogli, appunti, ricordi, immaginette, souvenir, pagine, articoli, stralci di giornale, cioccolatini. Riordinava le idee, rileggeva i vangeli da commentare, preparava il messaggio da lasciare a tutti. Intanto, dietro l’uscio, l’ultimo povero se ne andava contento, l’ultimo della lunga fila di coloro che avevano atteso di confessarsi aveva vuotato il sacco e, ottenuta l’assoluzione, lo salutava stringendogli la mano. Le guance spesso gli si arrossavano per la stanchezza e le gambe cedevano per il tran tran di quei giorni densi di preparativi, attenzioni, appuntamenti. Alle 23.30 cominciava la veglia di Natale. La cantoria si riempiva di giovani non tutti componenti del coro, molti tornavano dalle sedi universitarie per le vacanze natalizie, oppure da posti lontani sedi del lavoro. Tutti cantavano anche senza conoscere le canzoni, trascinati dalla melodia, mandando a farsi benedire giorni di prove, coloriti vocali, pause e regole di ritmi…era coro! Anche lui, dall’altare, accompagnava il canto, sia con la voce che con lo sguardo, ridente e striato di serenità. I suoi gusti musicali-liturgici esulavano spesso dagli schemi tradizionali, dallo stile classicheggiante e tendevano con decisione verso linguaggi musicali più moderni, amava la musica di nuova generazione, soprattutto quella del Gen Rosso e del Gen Verde. Con tale stile musicale attirava l’attenzione dei giovani che andavano alla messa motivati, e proprio ai giovani dispensava testi nuovi e vecchi delle raccolte gen: con tali testi catechizzava le loro menti e i loro cuori. In città aveva fama di attirare tanta folla per la brevità della messa, celebrata in quaranta minuti circa. In realtà tra le sue convinzioni era prioritaria quella che il vangelo, da solo, rappresentasse l’essenza di ogni messaggio, la perla da lasciare nelle mani dei fedeli, il resto era solo vana confezione. In città aveva la fama di fare omelie sintetiche, comode ai frettolosi e ai pigri dello spirito, ma in realtà lui era amato perché era il prete della gente, ossia il laico che sapeva entrare nelle storie degli altri, senza mai fare male, accarezzando. Il giorno di Natale finiva così, con il piazzale della messa vespertina gremito di famiglie, amici, giovani e bambini che attendevano di fargli gli auguri. Poi, immancabile, la passeggiata al mare, dove l’infinito lo ripagava di tutto. Sul tardi finalmente il ritorno a casa, a Copertino. Appena sull’incrocio, da lontano, si voltava a guardare la stella…brillava!

… il presepe
Quest’anno ti ho dedicato il mio presepe. Ho realizzato un paesaggio marino con un grande faro ed un pontile, oltre il quale è ormeggiata una barca; in primo piano, sotto le ali spiegate di un grande gabbiano, la natività; più in basso il libro “Il gabbiano Jonathan Livingston”, semiaperto, le cui pagine diventano decorazioni dell’albero; su una pagina più grande la scritta “Tu continua ad istruirti sull’amore”.
Lo guardo con stupore…sei tutto lì, don! Sei nel faro, nella barca, nel mare…sei soprattutto in quel gabbiano gigante e nel suo insegnamento sull’amore.
Stanotte , come un bambino che muove i primi passi, ho “camminato” nel mio presepe e sono arrivata fino al cortile della nostra chiesa: c’era odore di vernice e colla, c’erano fogli di polistirolo, gomma piuma, martelli, chiodi, taglierini; c’erano i mattoni “forati” e la sabbia; c’era la scala e i fari colorati con “le gelatine “; c’era Totò a fissare bene l’impalcatura; c’eravamo noi, con le mani infreddolite e ustionate e “il fumo” che usciva dalla bocca, tutti presi dal realizzare il più fedelmente possibile il “tuo” presepe.
Cominciavi a cercare l’idea mesi prima, tra le pagine dei giornali, sui cartelloni pubblicitari, sulle copertine di libri, audio e videocassette; raccoglievi ogni spunto in un grande raccoglitore, che poi sfogliavi con noi. Doveva essere un progetto realizzabile all’aperto (in chiesa avrebbe sottratto spazio alle persone); ti piaceva sempre attualizzare, così che ogni anno facevi nascere Gesù nei luoghi più impensabili: tra le macerie delle torri gemelle, a New York, su un barcone di immigrati, sotto la stella di Verona. A volte sceglievi una frase dalla liturgia, o un verso di una canzone, o un messaggio del papa, e ci chiedevi aiuto nella ricerca di un simbolo: anno dopo anno rivedo il grande abete con su scritto ”E’ nata la speranza”, il cero … ”Gesù luce del mondo”, lo spartito musicale …”Tu scendi dalle stelle”, la porta spalancata …”Aprite le porte a Cristo”, l’enorme pagina del quotidiano con le notizie di cronaca e in primo piano ” Gesù nasce a Betlemme”… Fatto il progetto, tu davi le direttive e lasciavi fare a noi…ma non tanto! Facevi la spola tra il confessionale e il cortile: a volte ti spazientivi se i lavori non procedevano in un certo modo, ma tante altre volte abbozzavi un sorriso soddisfatto, intravedendo già “l’opera d’arte”. Ci mettevi fretta perché mancavano poche ore alla notte, ma pretendevi che non facessimo in fretta!
Eri tutto preso, sì, dai lavori nel cortile, ma mentre noi allestivamo lo spazio per collocare la natività di cartapesta, il presepe più bello prendeva vita nel tuo studio: eri tu che ti facevi luce e speranza e porta spalancata e lieta canzone e bella notizia! Mentre le nostre mani screpolate tinteggiavano, attaccavano, tagliavano,
inchiodavano, le tue …donavano. Noi ci improvvisavamo carpentieri, muratori, elettricisti, architetti, ingegneri, facendo ognuno la propria parte e tu eri parte, ora dei magi, offrendo il meglio di te, ora degli angeli, portando un annuncio di gioia, ora dei pastori, incontrando in semplicità…facevi pure la stella, quando indicavi la strada!
Noi capivamo che là dentro succedeva qualcosa di straordinario sia dalla lunga fila di uomini e donne che attendevano di varcare quella soglia, ognuno di loro un Dio- bambino che tu accoglievi…sia dall’emozione di quelli stessi che uscivano convinti che Dio si fosse fatto vicino.
Quando in mezzanotte in punto deponevi il bambinello nella culla, insieme a quel bambino di resina ci mettevi tutta la fragilità che avevi incontrato e che tu avevi intriso d’amore.
Poi ti inginocchiavi e di ritorno verso l’altare sorridevi come un bambino: era, finalmente, Natale!
Quando la celebrazione della notte era finita, chiuso il portone, prima di tornare nelle nostre case, ci fermavamo davanti al tuo presepe e accendevamo un lume! Anche io, stanotte, di ritorno, ho acceso un lume davanti al mio presepe…con il cuore colmo di gratitudine per le tante volte in cui Dio è venuto a visitarmi, per mezzo di te.

Rosi e Lori Fracella