Libri: Giuseppe Potenza, un antiburocrate con la passione per il linguaggio e per le note di costume

Nella opinione comune, nella esperienza quotidiana del cittadino, la parola
burocrazia, nonostante riforme e qualche cambiamento, evoca di colpo una serie di immagini: la tortuosità delle
procedure, le lungaggini delle pratiche, la scarsa trasparenza, ma soprattutto il lessico, il linguaggio che spesso
pare una lingua irreale e surreale.

Passano gli anni, e il mondo degli uffici resta in gran parte ancorato a un suo vocabolario, a un suo linguaggio,
che spesso si declina secondo vari stilemi, ma soprattutto secondo il registro dell’assurdo e del paradosso. E chi
ci va di mezzo, è spesso il cittadino. E’ un questione complessa e antica, quella della scarsa comprensibilità del
linguaggio burocratico e delle leggi da parte del cittadino.
Tutti abbiamo il ricordo del povero Renzo Tramaglino che non riusciva a raccapezzarsi, mentre
l’Azzeccagarbugli leggeva le varie gride manzoniane, il cui senso sfuggiva alle scarse conoscenze del povero
filatore di seta. Questo scarto tra la legge che non è chiara e il cittadino è una questione democratica.
Le leggi, ma anche i regolamenti, le circolari e tutto ciò di cui vive e si nutre la macchina burocratica dello
Stato, centrale e periferica, dovrebbero poter essere capite dal cittadino comune senza l’aiuto dei mediatori (
siano essi avvocati, consulenti fiscali e così via).
Questo problema è così annoso, e così irrisolto, che una volta Indro Montanelli fece una proposta all’allora
ministro Franco Bassanini: se riuscirai a far riscrivere le leggi in modo che il cittadino le possa comprendere e
leggere da sé, solo per questa impresa passerai alla storia. Ma Bassanini nemmeno ci provò, perché si trattava
appunto di una impresa, e tale ancora resta. Leggere il libro di Giuseppe Mario Potenza, ‘’Indiscrezioni di
autonomia locale.
Cronaca Municipale’’, edito da Pacini Giuridica Editrice, al di là del titolo apparentemente generico, è come
fare un viaggio nell’Italia profonda dei Comuni, grandi e piccoli.
Con uno sguardo indulgente ma preciso, l’autore ci racconta storie apparentemente minori, solo apparentemente
marginali, dove però pulsa la vita quotidiana dei cittadini, e dove si dipanano ogni giorno i loro rapporti con le
amministrazioni.
Sono tante le situazioni e i personaggi in cerca d’autore che sfilano lungo lo scorrere delle pagine. Giuseppe
Potenza, di Nardò ( Lecce) – autore di varie pubblicazioni su temi amministrativi e penali, che ha avuto
riconoscimenti anche internazionali- però non si limita al puro dato aneddotico, per quanto sapido e divertente,
ma con discreto tocco ne coglie altri risvolti, le implicazioni sociali, noterelle di costume, sulla vita quotidiana
della burocrazia e degli uffici.
Sotto la crosta polverosa del linguaggio burocratico che viene riportato, delle procedure standardizzate, si sente
che scorre la vita vera della gente comune, che si rapporta con il potere municipale e si esprime anche in
dialetto. Esilaranti certi documenti linguistici, che l’autore riporta nel volume, valorizzando la ricchezza, la
spontaneità, la vivacità del dialetto, che consente risultati che talvolta neanche la lingua italiana riesce a
conseguire.
Se non è già chiaro da ciò che finora abbiamo detto, vogliamo sottolineare che uno dei pregi di questo volume è
l’attenzione particolare al linguaggio, e alla importanza del comunicare in modo chiaro tra burocrazia e
cittadino: ponendosi questo problema, e indicando questo obiettivo, Giuseppe Potenza si rivela un
antiburocrate, pur avendo lavorato una vita nelle amministrazioni di Comuni piccoli e grandi, nella cabina di
regia che è quella del Segretario Generale.
Sulle questioni della lingua, sulla sua evoluzione, sulla ricchezza perenne del dialetto, che conserva negli anni
la sua genuinità, spontaneità e ricchezza espressiva, l’autore concentra la sua attenzione e la sua analisi.
Osservando tra l’altro una cosa a cui spesso non diamo l’importanza che merita, e cioè questa: mentre l’italiano
ormai è ogni giorno infarcito, assediato, inquinato di termini inglesi, questo non accade per il dialetto, che resta
una zona incontaminata, una zona franca, dove le lingue straniere non si sono infiltrate, come purtroppo è
capitato e capita alla lingua nazionale, che rischia di diventare straniera in casa propria.
Sono numerosi gli episodi disseminati in questo libro di ‘’indiscrezioni’’ sulla vita dei cittadini alle prese con il
potere municipale. Come certe lettere di cittadini che sembrano come quelle che Totò detta a Peppino nel film
‘’ Totò Peppino e la malafemmena’’.
Un cittadino si lamenta delle buche nelle strade: ‘’Quelli che vanno in macchina a ogni buca mandano una
saietta al Sindago( sic). Non mancano improperi anche dello scrivente la lettera, e vere e proprie maledizioni.
Ci sono delle storielle, realmente accadute, che non sfigurerebbero nei libri di Andrea Camilleri e hanno
qualche eco pirandelliana. Ne citeremo, ad esempio, uno. In Consiglio comunale si discute del bilancio. Una
consigliera chiede chiarimenti, l’assessore li fornisce, la donna replica: Mi ritengo insoddisfatta dei chiarimenti
dell’assessore. Ma questi, seccato, risponde: ‘’Signorina, non so se io sia sempre in grado di soddisfare mia
moglie’’. Succede un putiferio, la consigliera dà in escandescenze, minaccia iniziative legali.
Il sindaco interviene, si cerca di trovare una pezza aggiustando quello che dovrà essere scritto nel verbale della
seduta: aggiungendo, nella frase incriminata dell’assessore, dopo il termine ‘’moglie’’ le parole ’’quando mi
chiede spiegazioni’’.
Il caso comunque finisce sui giornali, un giornalista ha l’idea di chiamare la moglie dell’assessore che si
esprime con lo stesso spirito greve del marito. ‘’Signora, ci spieghi questo fatto della insoddisfazione della
consigliera’’.
‘’Io sono soddisfatta, se così non è per quella signorina, sono cavoli suoi’’ ‘’E’ vero che è stata chiesta la testa
di suo marito al prefetto? ‘’ ‘’ A me non interessa quella superiore’’, replica la signora. Si disse che in questa
risposta fosse seguita, alla fine, la parola ‘ ’determinazione’’, ma nei giornali non comparve.
Scene come queste non sono infrequenti nel libro di Giuseppe Potenza, il quale tra l’altro ci regala delle
osservazioni di costume sulla mentalità meridionale, ancora intrisa, nel bene e nel male, di influenze
spagnolesche, nel senso della esagerazione nel rivolgersi alle persone con titoli altisonanti, quanto spesso
infondati, una sorta di ipertrofia dei titoli .
Per cui uno studente di giurisprudenza lo chiamano già avvocato, a un maestro elementare ci si rivolge
chiamandolo professore, il geometra è salutato come ingegnere. Per conoscenza diretta: una volta mio padre,
che aveva bisogno di un certificato urgente dal Comune, quando gli fu detto che doveva attendere cinque
giorni, ebbe l’idea di pregare l’impiegato di fare più presto, e gli si rivolse con un ‘’don Antonio’’.
Il certificato il giorno dopo era già pronto. Debolezze umane, ma così andava il mondo. E ancora va, in certi
Paesi del Sud.
(fonte PPN 4 nov 2017)