LA CHIESA COME COMUNIONE RISPETTOSA DELLE DIVERSITA’. Genesi e sviluppo del pensiero teologico di Francesco

Si riporta l’articolo: La Chiesa come comunione rispettosa delle diversità di Pantaleo Dell’Anna comparso nel numero di “ANXA” di novembre-dicembre 2017

Di riforma della Chiesa si parla da oltre dieci secoli. La Chiesa è sempre reformanda. Ma la vera riforma, scrive Enzo Bianchi, “non può essere ridotta a rimozioni e sostituzioni di persone, ma deve essere conversione personale, cambiamento spirituale, fede in Gesù Cristo che è il Vangelo”.

Ciò richiede , continua Enzo Bianchi, “una Chiesa meno mondana, che sa opporre resistenza alle tentazioni del potere, della ricerca del successo, che sa non solo servire i poveri ma anche imparare dalla loro cattedra” (Una riforma spirituale, in “L’Osservatore Romano”, 30 dicembre 2016).

Nonostante Papa Francesco non segua la logica della contrapposizione ma quella del dialogo, non mancano gruppi di laici e perfino di ecclesiastici che, pur dicendo di far parte della Chiesa, con un linguaggio felpato e apparentemente rispettoso verso il magistero, ma al limite dell’ ipocrisia, non si limitano ad esporre pareri diversi, ma si spingono fino a delegittimare il Papa con accuse grottesche che non hanno alcun fondamento teologico, ma sono solo frutto di ignoranza o di una frettolosa, superficiale e non integrale lettura dell’Amoris Laetitia. Un esempio tipico è la cosiddetta Correctio filialis che 62 cattolici hanno inviato al Papa l’11 agosto 2017, resa poi pubblica il successivo 25 settembre, con la quale lo accusano di “sette presunte eresie contenute nell’Amoris Laetitiae “. Sferzante e puntuale è stato il commento di Mons. Bruno Forte che l’ha considerata “un grave attacco, una forzatura strumentale, un pregiudizio, un’operazione contro il Papa e la Chiesa” (Strumentali le accuse di eresia al Papa, in “Avvenire”, 26 settembre 2017). Tuttavia, scrive Enzo Bianchi, queste accuse “non intaccano il clima generale che favorisce quella opinione pubblica nella Chiesa, di cui Pio XII nel 1951 lamentava la mancanza, clima che stimola il confronto e rende la Chiesa una comunione rispettosa delle diversità” e che genera “maggiore libertà teologica e pastorale nell’annuncio dell’unico Vangelo” (L’Osservatore Romano cit.), che era scomparsa negli ultimi decenni e che invece il Vaticano II aveva insistentemente auspicato. Purtroppo il seme che il Concilio aveva sparso e che stava per germogliare non si è sviluppato, perché caduto in un terreno sassoso e pieno di sterpi. L’azione Cattolica è stata emarginata e talvolta ridotta al silenzio; la stessa sorte è toccata a molti teologi mentre i laici, invece di essere aiutati a maturare la consapevolezza di essere Chiesa, sono stati incapsulati nel clericalismo imperante della Gerarchia. Solo qualche voce un po’ fuori dal coro è riuscita a farsi sentire in Italia anche prima del Concilio Vaticano II. Nel 1958, ad esempio, Don Lorenzo Milani, nel volume Esperienze pastorali, aveva già proposto un progetto che riformava la pastorale tradizionale, quasi profetico contributo allo stesso Concilio, ma l’allora Sant’Ufficio ne vietò la diffusione. Francesco invece, con la sua recente visita alla tomba del Parroco di Barbiana, ne ha rivalutato l’opera ed oggi Esperienze pastorali viene riconosciuta come un patrimonio del cattolicesimo italiano e un valido contributo alla odierna riflessione ecclesiale.

1) La morale di Francesco è in linea con il Vaticano II
Francesco il 10 settembre di quest’anno in Colombia, in un colloquio privato con un gruppo di gesuiti, si è riferito, senza nominarla, alla correzione fraterna dicendo: “Sento molti commenti -rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati- sull’Esortazione apostolica post-sinodale”. Poi, rivolgendosi a coloro “che sostengono che sotto l’Amoris Laetitia non c’è una morale cattolica o, quantomeno, non è una morale sicura […], ha ribadito che “la morale dell’Amoris Laetitia è tomista”, aggiungendo: “Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica” (Papa FRANCESCO, La grazia non è una ideologia. Un incontro privato con alcuni gesuiti colombiani, in “La Civiltà Cattolica”, 7/21 ottobre 2017, p. 10).
Francesco non ha una sua morale e non pensa minimamente di stravolgere i principi della morale tradizionale. Lo afferma, senza ombra di dubbio, Rocco Buttiglione, uno dei più importanti interpreti dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II, quando scrive: “Papa Francesco non è affatto in contraddizione né con San Giovanni Paolo II né con l’enciclica Veritatis Splendor” che non propone “un’etica dell’oggetto senza soggetto” perché “non è questo lo spirito della filosofia di Karol Wojtila” (Ristoste amichevoli ai critici di Amoris Laetitia, Ed. Ares, Milano, p. 50). Il cardinale Gerhard Ludwig Muller, Prefetto emerito della Congregazione della Dottrina della Fede, nel Saggio introduttivo al volume di Buttiglione, dopo un’analisi molto accurata dell’ Amoris laetitia, invita a leggerla con “il sentimento della fede (sensus fidei) alla luce dell’intera tradizione della dottrina della Chiesa e con un’ardente preoccupazione pastorale” (Buttiglione, op cit, p. 32). Polemico e astioso nei confronti del Papa Muller si rivela, invece, nell’intervista concessa al giornalista Massimo Franco (“Mi vogliono guida di un gruppo contro il Papa”, in “Corriere della Sera” del 27 settembre 2017) nella quale, secondo il teologo Andrea Grillo, muove al Papa “ accuse molto gravi”e non teologicamente fondate” (www.cittadellaeditrice. Com/munera/come-se-non/ del 27 novembre 2017). Ma ciò che lascia a dir poco perplessi e “risulta difficile da comprendere” è il rancore di Muller, perché ritiene di aver subito un”torto immeritato” (M. FRANCO, int. cit) con la mancata conferma nel suo incarico. Egli, col suo modello teologico e spirituale legato al passato, non ha mai condiviso la svolta conciliare di Papa Francesco e, scrive Andrea Grillo, ha interpretato la sua funzione di Prefetto della Congregazione come “correttore del Papa”. Infatti, secondo Massimo Franco, Muller sostiene che “il rapporto fra il Papa e la Congregazione per la dottrina della fede era e sarà sempre la chiave per un proficuo pontificato” (int. cit.). Dal che, fra le righe, si evince che la funzione magisteriale del Papa deve essere del tutto in sintonia con il Prefetto della Congregazione. Ma questo, apertis verbis equivale a mettere un’ipoteca sul Papa! Per cui la ribadita fedeltà di Muller al Romano Pontefice sembra un atto puramente formale e perciò risulta molto difficile comprendere come con una tale visione teologica abbia potuto avere la pretesa di rimanere in carica e di condizionare il pontificato.
La rigidità e gli schematismi possono risultare dannosi er la comunitàecclesiale questo ce lo insegna il Vangelo stesso. Per cui una vera vita spirituale plasmata sulla Parola richiede apertura alle cose che ci sono intorno, apertura agli altri, alle loro idee ed alle loro esperienze. Non ha forse Gesù affrontato la rigidità de farisei? Perciò, in tempi di grandi mutamenti, non possiamo più limitarci a ripetere pedissequamente “si è sempre fatto così”, ribadendo ostinatamente vecchie forme e formule in una situazione del tutto mutata che ci interpella. Anche la Chiesa ha da imparare dagli altri. C’è quindi bisogno di attualizzare il Vangelo, incarnarlo continuamente, che non vuol dire alterarlo, ma semplicemente inculturarlo perché possa essere capito e vissuto dalle donne e dagli uomini di oggi.
Anche la Congregazione della fede perciò, nel “promuovere e tutelare la fede”, deve sapersi rinnovare. Non più ammonizioni e condanne, aveva detto Giovanni XXIII aprendo il Concilio Vaticano II, ma “camminare insieme nella diversità” come ha aggiunto Francesco. Occorre che la Chiesa chieda perdono per tante ingiustizie commesse. Ricordo solo: Rosmini, Teilhard de Chardin, Congar, De Lubac, Sartori, , Padre Turoldo, don Mazzolari, don Milani, per citarne solo alcuni, le cui idee sono state poi riprese dai documenti del Vaticano II.
Francesco intende solo dare un taglio pastorale all’etica cristiana che ricollega “direttamente alla specifica connotazione del Concilio Vaticano II, di cui a sua volta è per certi versi naturale continuazione e anche profetica attuazione, per alcuni lungamente attesa” (P. CARLOTTI, La morale di Papa Francesco, Edizioni Dehoniane, Bologna, 2017, p.13). Papa Francesco, scrive ancora Enzo Bianchi, “non ha mutato nulla della dottrina: è un uomo della tradizione cattolica più schietta, per moli aspetti condivide le posizioni che sono comuni ai conservatori” (Un’opinione pubblica che sia di comunione, in “Vita Pastorale”, n. 11, dicembre 2017, p. 52).
A questo riguardo nella Chiesa italiana ora si respira un clima nuovo, il Papa vuole che ad ogni livello si discuta liberamente e responsabilmente e ci si confronti fraternamente senza il timore di censure e punizioni. In questo clima si comprende benissimo come per Francesco la morale non è “una casistica puramente negativa ridotta ad un catalogo di peccati”, ma piuttosto “una risposta all’amore di Dio, riconoscendolo nel volto del prossimo e superando il proprio egoismo per aprirsi in maniera incondizionata al bene di tutti” (G. PIANA, Il magistero morale di Papa Francesco, in A. COZZI, R. REPOLE, G. PIANA, Papa Francesco. Quale teologia? Cittadella Editrice, Assisi, 2016, p. 132). Si tratta quindi più propriamente di uno sviluppo di contenuti “non certo negati in passato, ma non sottolineati e valorizzati come avviene ora” (P. CARLOTTI, op.cit, 4° di copertina). Il Papa parte dall’esperienza per ripensare l’identità dell’etica cristiana e rifugge sia dai pragmatismi che dagli intellettualismi. Ciò comporta una autorevole lettura del nostro tempo e della realtà ecclesiale. Egli opera un riposizionamento di prospettiva, passando dalla centralità dell’oggetto morale e delle norme a quella del soggetto, ossia della persona concreta che opera hic et nunc (qui e ora). Perciò non accantona, ma specifica la norma e centra l’attenzione sulla persona e sul suo vissuto. Dall’universale della legge passa al soggetto particolare e dal peccato al peccatore, privilegiando l’impegno formativo. Questo processo accentua la responsabilizzazione personale, il discernimento, la formazione di una coscienza adulta che non crea la legge ma, attraverso il discernimento, va alla ricerca del bene possibile per una persona nelle sue condizioni esistenziali concrete, senza pretendere di erigere a norma morale universale la propria scelta. Il magistero di Francesco prospetta una teologia non da tavolino ma, come è solito ripetere, elaborata in ginocchio, frutto del pensiero, ma anche della preghiera, perché lo specifico della morale cristiana è la infinita misericordia divina.
Al centro del percorso etico, secondo Francesco, perciò, vi è la persona con la sua dignità e responsabilità, ma anche con la sua fragilità, situata in un dato contesto storico e geografico. Finora purtroppo la dimensione su cui si è basato il discorso morale è l’universalità del principio morale intoccabile e applicabile in tutti i casi e non il soggetto umano, singolo e irripetibile.

2) La Chiesa è unità soprannaturale di ciò che nel mondo è inconciliabile
Papa Francesco, eletto dopo il pontificato di Benedetto XVI, fortemente marcato quest’ultimo sul piano intellettuale, è apparso inizialmente , con il suo stile semplice ed essenzialmente pastorale, non adeguato alle grandi sfide della nostra società globalizzata Egli non ama le forme intellettuali astratte che non hanno alcun rapporto con la vita quotidiana sicché i suoi riferimenti teologici nelle omelie e nella catechesi sono sempre brevi e comprensibili. Questa impressione, convalidata dai critici di professione e dai teologi dell’ultima ora, è stata smentita, oltre che dal suo magistero, da uno studio recente del prof. Massino Borghesi (Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale.Dialettica e mistica, Jaca Book, Milano, 2017) che “prende in esame -scrive Guzman Carriquiry Lecour nella Premessa del volume- un aspetto essenziale, decisamente trascurato, per la comprensione dell’attuale pontefice: quello della genesi e dello sviluppo del suo pensiero” (p. 9). L’Autore ha condotto un’accurata ricerca ed uno studio puntuale sulle fonti ed ha inoltre utilizzato “quattro registrazioni audio di eccezionale importanza che il Santo Padre gli ha trasmesso, con straordinaria cortesia, tramite un comune amico padre GuzmanCarriquiry, in risposta a un plesso di domande che gli aveva fatto pervenire” (op. cit. p. 26). Ciò gli ha consentito di raggiungere una sistematica conoscenza dell’entroterra culturale che fa da base alla formazione teologica di Bergoglio, fortemente influenzata dal pensiero di teologi di grande spessore culturale come Adam Mohler, Erich Przywara, l’italo-tedesco Romano Guardini, Gaston Fessard, Henri De Lubac, teologi che oggi Egli, col suo magistero, aiuta a riscoprire e valorizzare.
La concezione filosofica di Bergoglio è fondata sulla riconciliazione, maturata nel corso degli studi ignaziani degli anni sessanta, durante i quali lesse e rilesse La dialectique des Exercices soirituels de saint Ignace de Loyola (La dialettica degli esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loiola) di Gaston Fessard, che poneva al centro della spiritualità cristiana la tensione tra grazia e libertà. Questa visione trova “la sua prima formulazione nel quadro tragico dell’Argentina” (M. BORGHESI, op. cit. p. 23), politicamente divisa tra destra filo-militare di Videla e sinistra filo-rivoluzionaria d’ispirazione marxista, contrapposizione che divideva anche la comunità ecclesiale e la stessa Compagnia di Gesù e che ben presto si trasformò in conflitto sociale. Ciò spinse Bergoglio , allora Provinciale dei gesuiti, a coltivare l’ideale di una Chiesa e di un cattolicesimo come coincidentia oppositorum, concezione che egli deriva da teologi come, tra gli altri, Henri de Lubac e Romano Guardini. Per Bergoglio la legge che governa la Chiesa è basata su una dialettica polare che tiene uniti gli opposti senza cancellarli e ridurli forzatamente all’Uno. Molteplicità ed unità costituiscono due poli di una tensione ineliminabile, la cui soluzione di volta in volta è affidata alla potenza del Mistero divino che agisce nella storia. La Chiesa è lo strumento attraverso cui il mistero di Dio unisce quanto sul piano della natura appare non componibile.
Egli intendeva attuare una sintesi degli opposti che laceravano la realtà sociale e la comunità ecclesiale, sintesi che non si riduceva però ad una equidistaza tra le fazioni in lotta, né ad una mera soluzione centrista che accoglieva le parti che si potevano conciliare , ma era “un tentativo teoretico-pratico-religioso di suggerire una unità antinomica, una soluzione agonica raggiunta mediante il contrasto” (Ibidem). In parole più semplici si trattava di un processo dialettico nel quale la riconciliazione non era affidata , come in Hegel, alla speculazione filosofica, ma al Mistero che agisce nella storia. Con parole facili e comprensibili, dettate dal cuore, Francesco, nel suo recente viaggio nel Myanmar, incontrando nel refettorio dell’arcivescovato un gruppo di 17 leader religiosi, dopo averli salutati con le parole del salmista:” Come è bello vedere i fratelli uniti” ha soggiunto: “uniti non vuol dire uguali, l’unità non è uniformità, anche all’interno della stessa confessione. Ognuno ha i suo valori, le sue ricchezze da dare, da condividere . e questo può avvenire solo se se si vive in pace. E la pace si costruisce nel coro delle differenze. L’unità si realizza sempre con le differenze[…] Dobbiamo comprendere la ricchezza delle nostre differenze –etniche , religiose, popolari- e proprio da queste differenze nasce il dialogo” (Papa FRANCESCO, Le differenze sono una ricchezza per la pace, in “l’Osservatore Romano” del 29 novembre 2017). In ciò vi è un chiaro richiamo alla tesi agostiniana della Città di Dio e specialmente a Hans Urs von Balthasar che percepiva una teologia viva nella esistenza terrena dei santi, profusa dalla Spirito Santo per il bene di tutta la Chiesa, superiore a quella che emergeva nella speculazione dei teologi di professione. Da qui sorge in Bergoglio l’incontro con la dialettica polare di Romano Guardini che “costituisce il filo rosso del suo pensiero, il suo nucleo concettuale originale” (Ibidem). Ciò spiega perché nel 1986 scelse come argomento della sua tesi di laurea, che non portò a compimento, l’opposizione polare di Romano Guardini. A ragione dirà poi, nella sua prima intervista da Papa a padre Spadaro, che un’espressione del pensiero non è valida “quando il pensiero perde di vista l’umano o quando addirittura ha paura dell’umano e si lascia ingannare su se stesso” (Papa FRANCESCO, La mia porta è sempre aperta. Una conversazione con Antonio Spadaro, Rizzoli, Milano, 2013, p. 120).
La critica di Bergoglio “al dogmatismo astratto, alla pietrificazione della Rivelazione traggono origine […] dall’idea che la fede […] è una domanda, un’apertura del cuore ad una Presenza di grazia” (M. BORGHESI, op.cit, p. 42) che, per essere valida, deve diventare vita vissuta e rapporto autentico tra l’uomo e Dio nello scenario più ampio della storia umana. Per questo la Chiesa, annota Bergoglio, non può chiudersi in sé, ma deve uscire dalla propria autoreferenzialità e deve continuare ad essere ospedale da campo, contrariamente a quello che afferma il Cardinale Muller nella intervista citata. Una intima dialettica qualifica anche l’operare del credente che Borghesi esemplifica con la seguente formula detta paradosso, coniata da De Lubac: “Abbi fiducia in Dio così che il successo delle cose dipenda da te e non da Dio; sforzati però così come se tu non facessi nulla, ma Dio da solo facesse tutto” (M. BORGHESI, op.cit, p.44). Il paradosso è nel fatto che l’uomo deve agire come se tutto dipendesse da lui e nello stesso tempo come se egli non facesse nulla e Dio tutto. Si tratta di una dialettica mistica i cui due poli sono l’uomo e Dio che interagiscono unendo grazia e libertà umana e che costituiscono il fondamento dell’azione pastorale di Francesco. Nel rapporto “complesso, tra unità e diversità risiede il nucleo del pensiero cattolico di Bergoglio” (M. BORGHESI, op cit. p. 24).Da qui hanno origine i quattro principi “il tempo è superiore allo spazio; l’unità è superiore al conflitto; la realtà è superiore all’idea; il tutto è superiore alla parte” (Ibidem) e anche “la sua dottrina classica dell’unità dei trascendentali dell’Essere” (Ibidem), ossia di quelle proprietà, bello-buono-vero che ne costituiscono la natura e appartengono indistintamente a tutti gli esseri in quanto esistenti. Questa inscindibile unità fa sì che Verità e Misericordia non possono essere separate.

3) Conclusione
Riuscirà Francesco ad attuare pienamente il Concilio Vaticano II, favorendo la formazione di un’opinione pubblica ecclesiale espressione di una autentica volontà di comunione ?
A questa domanda risponde la sorella del Papa Maria Elena Bergoglio: “Non ho alcun dubbio. Ha un carattere forte, anzi, direi fortissimo, crede fermamente nelle cose di cui è convinto, nessuno sarà capace di dissuaderlo. Jorge non riesce a fare dei compromessi quando è convinto di qualcosa. Sarà un buon papa, perché ne ha la stoffa” (M. HESEMANN, Intervista a Maria Elena Bergoglio, in D. CASTELLANO LUBOV -a cura- L’altro Francesco, Cantagalli, Siena, 2017, p. 32).