LA EVANGELII GAUDIUM E LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE

La Chiesa italiana fatica a comprendere il programma innovativo di Francesco

Una riflessione accurata e puntuale sulla attuale situazione della Chiesa italiana deve necessariamente prendere le mosse dalla Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium che non è un semplice invito alla gioia ma, come scrive don Giulio Cirignano, “un testo evento coraggioso e innovativo che forse l’ambiente ecclesiastico non ha ancora accolto e valorizzato in modo adeguato” (Bellezza del gaudio evangelico, Marco Pagliai Editore, Firenze, 4° di copertina).

Nella Chiesa italiana infatti, scrive il Cardinale Bassetti, “il nuovo dell’Evangelii Gaudium tarda a spuntare perché quella italiana è una Chiesa abbastanza clericale” (S. CERNUZIO, Bassetti: “La Chiesa italiana in una fase felice, anche se un poi’ stanca e clericale”, in “La Stampa Vatican Insider”, 10 novembre 2017).

1) La Evangelii Gaudium e il Vangelo di Gesù
Francesco, con la Evangelii Gaudium, ha inteso chiudere il periodo post-conciliare, i cui insegnamenti in Italia hanno avuto una debole accoglienza, ed iniziare una nuova stagione con l’avvio di un processo di conversione e di rinnovamento radicali nella vita della Chiesa. Ciò spiega la sua insistenza nel raccomandare ufficialmente, per ben due volte, lo studio della Evangelii Gaudium. La prima, nel discorso al Convegno ecclesiale di Firenze il 10 novembre 2015 e la seconda all’apertura della 69° assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) il 16 maggio 2016. Recentemente il Cardinale Bassetti, Presidente della CEI, parlando ad una tre giorni del clero bolognese, ha detto testualmente: “Nella Chiesa italiana si registrano ancora troppe chiusure alle indicazioni di Papa Francesco. Per ben due volte, quando sono andato a trovarlo per vari motivi, il Papa mi ha sempre posto questa domanda: ma la Evangelii Gaudium sta entrando nella Chiesa italiana? Una domanda imbarazzante […]. Una volta gli ho risposto: Un pochino… E lui: Anche io ho questa impressione” (C. DALL’OLIO, Bassetti: attenzione al rischio clericalismo, in “Avvenire”, 13 settembre 2017). Effettivamente nella Chiesa italiana si registra una certa lentezza e talvolta una vera e propria inerzia nel recepire e comprendere il progetto di Papa Francesco, dovute, credo, ad una non piena assimilazione dei contenuti del Vaticano II, ai quali si ispira continuamente Papa Francesco nel suo magistero che ruota su un punto nevralgico del Vangelo: la infinita misericordia di Dio, Padre di tutti.
Il Dio di Francesco è Amore, perdona sempre chi a lui si rivolge pentito, si assume il peccato dell’uomo, non sceglie gli eletti, ma elegge tutti oltre ogni religione e cultura. Non è il Dio della casistica, ma della verità. E’ un Dio, scrive Raniero La Valle, che sorprende, che dà una svolta profetica al pontificato di Francesco e che i cattolici, e non solo, sono chiamati a vivere nella loro esperienza quotidiana (Cfr.R. La VALLE, Un Dio che sorprende. Relazione al convegno sul tema: Come dare futuro alla svolta profetica di Francesco, Assisi, 25 agosto 2017), perché, secondo Francesco, “Il nostro Padre è il Dio delle novità e delle sorprese” (Udienza generale del 23 agosto 2017).
A questa idea di un Dio unico, ma non cattolico, si rifà in modo evidente tutta la pastorale bergogliana, improntata alla misericordia, alla solidarietà, all’accoglienza verso i più poveri e quindi verso gli immigrati, in buona parte non cattolici.
Le immagini a cui Papa Francesco ha fatto riferimento, sin dalla sua elezione, per indicare la Chiesa sono: l'”ospedale da campo”, che cura le ferite degli uomini e delle donne del mondo di oggi e “la Chiesa in uscita” che cerca di essere più vicina alle persone e che non aspetta che queste vadano a cercarla, ma è essa stessa che si mette alla loro ricerca per proporre all’umanità sofferente la misericordia di Dio e un nuovo rapporto Chiesa-mondo.

2) Teologia e vita quotidiana del Popolo di Dio
“La nuova evangelizzazione di Francesco, scrive il teologo Gian Luigi Brena S. J, mette al primo posto, più che le verità di fede, la esperienza dell’amore di Dio e del suo perdono insieme alla riconciliazione fraterna ed al servizio dei poveri […]. Senza dubbio la fede vissuta -continua Brera- è più importante delle parole, anche di quelle scritte” (L’universalità della nuova evangelizzazione secondo la Evangelii Gaudium, in”Rassegna di Teologia”, n. 2, aprile-giugno, 2016, pp. 251-263, ivi p. 252). Nel magistero di Francesco confluiscono tanto le novità dell’insegnamento conciliare quanto la teologia studiata negli anni giovanili. Egli, partendo da questa premessa, ritiene che la dottrina sistematica non può essere qualcosa di estraneo alla pastorale, pena la sua riduzione a pura ideologia. Se compito del magistero è quindi annunciare il Vangelo di Gesù senza glosse, “la teologia non potrà mai ridursi ad un asettico esercizio da tavolino sganciato dalla vita del Popolo di Dio e dalla sua missione di far incontrare le donne e gli uomini del proprio tempo con la novità perenne ed inesauribile del Vangelo di Gesù” (R. REPOLE, Prefazione, in Volti gesti e luoghi, Libreria Editrice Vaticana, p. 8). La teologia, se smarrisce questo contatto, perde la capacità creativa che è la forza di cui la Chiesa necessita nel suo cammino terreno.
La reazione viscerale al pontificato di Francesco è determinata dall’apertura della Chiesa alla modernità voluta dal Concilio Vaticano II, che gli ultra-conservatori ritengono invece la causa del disorientamento che pervade oggi la comunità ecclesiale. L’opposizione a Francesco quindi, in ultima analisi, secondo il teologo Grillo, è contro il processo innovativo instaurato dal Concilio che ” ha assunto un rapporto non statico, ma processuale e creativo con la Tradizione” (Il processo a Francesco o di Francesco, in, “Come se non” ,www.cittadellaeditrice. Com/numera, 11 dicembre 2017) per consentire alla Chiesa, dice Francesco, di presentare con un linguaggio rinnovato la bellezza della sua fede in Gesù Cristo” (Discorso al Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, 11 ottobre 2017). Per cui le verità che ci vengono trasmesse non possono essere sempre indicate con le formule del passato, ma devono tener conto, nella loro formulazione, della evoluzione degli eventi a cui le stesse formule si riferiscono e delle particolari situazioni culturali, storiche ed ambientali. Ne consegue che “la Parola di Dio non può essere conservata in naftalina[…] ma è una realtà dinamica , sempre viva , che progredisce e cresce” e allo stesso tempo che “non si può conservare la dottrina senza farla progredire nè la si può legare a una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito Santo” (Ibidem). Francesco non sembra turbato dalla sorda opposizione al suo magistero, come evidenziano alcuni suoi interventi. Infatti, nel discorso alla Curia romana del 21 dicembre scorso, ha parlato senza mezzi termini di “traditori di fiducia” interni alla Santa Sede e di “approfittatori della maternità della Chiesa”, alludendo chiaramente agli ultimi episodi di cronaca: le dimissioni di Libero Milone, revisore dei conti e di Giulio Mattietti direttore aggiunto dello IOR, nominati da lui. E poiché “l’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella liturgia […] e la Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della liturgia”(n. 24) Francesco, a conclusione della 68° settimana liturgica nazionale del Centro Azione Liturgica (CAL) il 24 agosto 2017, ha voluto bloccare l’opposizione alla riforma liturgica, cominciata addirittura prima della conclusione conciliare e sviluppatasi in forme più o meno palesi nel corso degli anni. Lo ha fatto riaffermando innanzittutto il valore fondamentale della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, sottolineando “con autorità magisteriale che la riforma liturgica è irreversibile”, e quindi occorre superare le “letture infondate e superficiali, le ricezioni parziali e la prassi che la sfigurano”. L’altro intervento molto deciso riguarda il Motu Proprio Magnum Principium del 3 settembre scorso con il quale il Papa restituiva ai Vescovi il potere di approvare la traduzione dei testi liturgici. Il Cardinale Sarah, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, “nel suo umile contributo per una migliore e corretta comprensione del documento”, lo interpretava in senso restrittivo scrivendo che nulla è cambiato rispetto alla prassi precedente che attribuiva l’ultima parola al dicastero da lui diretto. Il Papa, con una smentita senza precedenti, ha bocciato l’interpretazione restrittiva del Cardinale Sarah. Sulla questio poi dei divorziati e risposati, che tanto clamore ha suscitato, il Papa ha tagliato la testa al toro, facendo pubblicare, come magistero autentico, sugli Acta Apostolicae Sedis dell’ ottobre 2016, la sua lettera ai Vescovi argentini di approvazione delle loro linee guida sull’apertura ai sacramenti ai divorziati risposati, rispondendo anche ai dubia sulla corretta interpretazione dell’Amoris laetitia.
Francesco, nei suoi interventi, si riferisce sempre ai documenti del Vaticano II che intende attuare pienamente e non perde occasione per sollecitare i teologi a studiarne con serietà e spirito di servizio i documenti per rendere sempre più accessibile il depositum fidei, in una Chiesa missionaria.
Nel discorso ai membri dell’Associazione Teologica Italiana (ATI), il 29 dicembre 2017, Papa Francesco, dopo aver precisato che in una Chiesa “in uscita missionaria” il lavoro teologico appare “particolarmente importante ed urgente”, ha esortato i partecipanti a fare continuamente riferimento al Vaticano II che segna “l’inizio di una nuova tappa dell’evangelizzazione che ha spinto la Chiesa ad assumere “la responsabilità di annunciare il Vangelo in un modo nuovo, più consono a un mondo e a una cultura profondamente mutati”.

3) L’universalità della nuova evangelizzazione nel mondo globalizzato
La novità della Evangelii Gaudium è l’aver proposto in modo convinto e categorico, come esigenza centrale del Vangelo, l’universalità della “nuova evangelizzazione”, perché “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita interiore di coloro che si incontrano con Gesù” (n. 1). Oltre all’insistenza centrale sulla gioia e allo stile evangelico di tutto il testo, solidamente radicato nella matrice bibblica, Francesco, con questa Esortazione, desidera innanzitutto indicare “le vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (Ibidem). Il che richiede una grande attenzione ai segni dei tempi (cfr. Gaudium et Spes, nn. 1-3), che Egli richiama nella Evangelii Gaudium quando scrive che “come figli di questa epoca, tutti siamo in qualche modo sotto l’influsso della cultura attuale globalizzata” (n. 77). Si tratta quindi non di un semplice invito, ma di una proposta programmatica che indica mete precise da raggiungere, percorsi da seguire e una metodologia che deve ispirare l’azione pastorale di tutta la Chiesa. Perciò l’annuncio del Vangelo della gioia deve coinvolgere l’intero Popolo di Dio che deve avviare un processo di riconversione e ricercare l’unità come contributo alla pace e alla fraternità universale. Per questi motivi Francesco si rivolge anche alle altre Chiese cristiane, ai “fratelli ortodossi” (n. 246), di cui intende valorizzare l’esperienza secolare, attuando uno “scambio di doni” (n. 246), e a tutte le confessioni religiose con le quali sviluppare un dialogo interreligioso nell’ascolto vicendevole e nell’amore per la verità e la pace universale perché anche esse possono essere canali dello Spirito e possono “aiutare i cattolici a vivere meglio le loro peculiari convinzioni” (n. 254).
Secondo il Papa, a “coloro che stanno lontani da Cristo” ( n. 15) deve giungere un messaggio comprensibile ed accettabile, senza venire meno all’autenticità evangelica, comunicato con amore e nel rispetto dovuto ad ogni persona. La predicazione cristiana deve essere sempre “rispettosa e gentile” (n. 128) non solo verso le persone, ma anche e soprattutto verso le diverse culture e tradizioni popolari.
Proprio perché sono interessate tutte le persone “l’annuncio si deve concentrare sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande , più attraente e allo stesso tempo più necessario” (n. 35). L’essenza di questo messaggio è nel rispondere “a Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da se stessi per cercare il bene di tutti” (n. 39). L’esortazione perciò invita ad una modalità di approccio al Vangelo che, in quanto espressione dell’Amore che viene da Dio, ne fa un annuncio di gioia, un’offerta di amore e di speranza che coinvolge ogni situazione umana e ogni persona.
L’umiltà di chi lo annuncia favorisce l’accoglienza del messaggio evangelico specialmente se esso si accompagna, come fa Francesco, al riconoscimento da parte della Chiesa delle proprie infedeltà nei confronti del Vangelo che nel tempo hanno oscurato la sua immagine ed intaccato la sua credibilità. La nuova universalità si fonda dunque sulla convinzione che la Chiesa può arrivare ovunque se si lascia guidare dall’amore e dall’umiltà. L’imposizione genera rifiuto ed ostilità, mentre la proposta sollecita la libertà e dispone all’accoglienza, poiché “la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione ” ( n. 14 e nota 13) come sostiene il Papa, in sintonia con quanto già affermato da Benedetto XVI. La diplomazia missionaria di Francesco antepone sempre la testimonianza al proselitismo.
L’Esortazione riconosce che l’attuale cultura globalizzata , pur presentandoci valori e nuove possibilità, “può anche limitarci, condizionarci e persino farci ammalare” (n.77). Sono molte le malattie e i pericoli che aflliggono gli operatori pastorali. Ma ciò non deve essere un ostacolo che rallenta la missione evangelizzatrice perché, sostiene il Papa, “tutti possono partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, tutti possono far parte della comunità, e nemmeno le porte dei sacramenti si dovrebbero chiudere per una ragione qualsiasi” (n. 47).
Questo in sintesi il programma che Francesco intende attuare. Egli mira innanzitutto ad una conversione interiore di tutto il popolo cristiano e all’avvio di processi che chi verrà dopo di lui non potrà ignorare.
Il cambiamento di mentalità, presupposto necessario per un’autentica conversione interiore, richiede anche un approfondimento serio dei documenti magisteriali, della teologia e della Tradizione ecclesiastica viste in una prospettiva completamente diversa da quella accademica ed astratta del passato. Per Bergoglio è una categoria chiave della teologia fondamentale, scrive Alberto Melloni, “leggere la realtà e i segni dei tempi – che non sono indicatori per accomodare il Vangelo, ma scintille messianiche che giungono inaspettate e nascoste” (Parole dure nel solco del Quirinale, in “La Repubblica”, 22 gennaio 2018). Questo modo di intendere lo studio della teologia sta suscitando interesse e tanta passione in molti laici uomini e donne che approfondiscono i temi teologici e li insegnano.
4) Conclusione
Riuscirà Papa Bergoglio a portare a compimento il programma indicato nella Evangelii Gaudium?
Condizione indispensabile per ottenere ciò è la consapevole e fattiva collaborazione delle Chiese locali che in Italia non sembra, almeno allo stato attuale, di facile attuazione. Forse non si è ancora riusciti a cogliere il significato profondo della Evangelii Gaudium, anche perché poco conosciuta, mentre il Papa più volte ha raccomandato di studiarla in piccoli gruppi Si è ritenuto che bastasse l’introduzione di qualche termine nuovo in un discorso trito e ritrito del passato per convincersi che si è fatto quanto suggerisce il Papa.
Per queste ragioni Francesco non perde occasione per ricordare ai Vescovi le loro responsabilità nel guidare il gregge loro affidato. Recentemente, nel ricevere i 114 Vescovi nominati nel 2017, ha rivolto loro un discorso molto puntuale e a tratti anche abbastanza duro, ricordando “le responsabilità che questo fondamentale ministero comporta”, mettendoli in guardia dalle tentazioni dell'”immobilismo” e del “si è sempre fatto così” ed esortandoli ad “avere il coraggio di domandarsi se le proposte di ieri sono ancora evangelicamente valide”. Nel suo recente viaggio in Cile, il 15 gennaio scorso, ai Vescovi ha raccomandato di curare la formazione dei seminaristi perché possano svolgere bene la “missione in quello scenario concreto e non nei nostri mondi ideali che entrano solo nei nostri schemi ma che non toccano la vita di nessuno”. Se il Papa insiste sulla responsabilità dei Vescovi e sulla necessità della formazione dei sacerdoti è perché è consapevole che non si può avviare un serio rinnovamento della comunità ecclesiale senza l’apporto insostituibile dei Pastori: Vescovi, sacerdoti e laici nelle Chiese locali!