…sul resort Sarparea

La vicenda del più recente progetto di lottizzazione dell’uliveto monumentale della Sarparea si trascina da alcuni anni e presenta in verità degli aspetti a dir poco problematici e a volte alquanto opachi che vanno considerati con senso di responsabilità.

I sostenitori della validità del progetto fondano il loro punto di vista sostanzialmente sull’auspicio di uno sviluppo economico del nostro territorio, che sarebbe indotto dalla realizzazione del “resort” e sulla probabile crescita temporanea delle possibilità di lavoro per imprese e manodopera locale. Al riguardo, va osservato che la costruzione di villette a vendere contrasta del tutto con una previsione di crescita del flusso turistico; che – come di solito in casi similari – non c’è nessuna garanzia di lavoro per imprese e manodopera locali; che la struttura alberghiera poteva senza dubbio essere collocata al di fuori dell’uliveto della Sarparea e di ogni altra area sensibile (considerata la vastità del territorio del comune di Nardò). E’ evidente, quindi, che l’aspettativa di una crescita economica legata alla realizzazione di quel resort si fonda su mere speranze, il cui presupposto si rintraccia soltanto nelle promesse elargite dalla società proponente e che, nella realtà, potranno verosimilmente risolversi in deludenti miraggi. Vale la pena quindi di concentrarsi sulle gravi conseguenze ambientali, paesaggistiche e geologiche – queste sì effettive e valutabili – che la lottizzazione comporterebbe se fosse realizzata. C’è da osservare che la presenza in quell’uliveto di villette a vendere e di una struttura alberghiera comporterebbe inevitabilmente l’abbattimento di alberi ultracentenari, veri e propri monumenti della natura, un inaccettabile consumo di territorio in un’area di pregio e implicherebbe la realizzazione di strade interne e infrastrutture di altro genere fuori terra e nel sottosuolo (palificazioni, tubazioni idriche e fognarie, elettrodotti sotterranei, ecc.), assolutamente inconciliabili con le caratteristiche carsiche e con il rischio idrogeologico dell’area dove vive l’uliveto, interessata anche da una risorgiva che rimanda direttamente alle “spunnulate” della contigua zona del Frascone – Palude del Capitano. E ci si deve domandare se non sarebbero necessarie tonnellate di cemento per “consolidare” quel tipo di sottosuolo. Altro che impatto limitato e valorizzazione dei luoghi! La lottizzazione (l’ennesima in spazi di pregio di quell’area) provocherebbe un degrado progressivo e inarrestabile di una delle poche zone – assediata da altre cementificazioni già avvenute – salvatesi dalla speculazione edilizia. E bisogna rispondere anche ad altre domande, niente affatto retoriche: 1) per quali ragioni dovremmo richiamare il vero turismo sul nostro territorio, se avremo degradato irreversibilmente le bellezze ambientali, paesaggistiche, culturali (l’ulivo, i frasconi, le paludi, le zone umide sono cultura!) di questo nostro territorio? 2) come mai, all’avvicendamento nella delega all’Assessorato regionale all’ambiente, si è accompagnato il ribaltamento totale del parere – in precedenza negativo per il progetto del resort – degli organismi regionali competenti in materia di salvaguardia ambientale? La sensibile riduzione delle tonnellate di cemento ha operato la folgorante conversione sulla via di Damasco?