LA DISOBBEDIENZA CIVILE COME GESTO EVANGELICO – Perché sto con padre Konrad Krajewskj

Dal numero di maggio-giugno di “Anxa”

“Un Cardinale che si comporta da cristiano”. Così Adriano Sofri sul “Foglio” del 13 maggio scorso a proposito del gesto del cardinale Konrad Krajewskj.
Ma vediamo di cosa si tratta e come si sono svolti i fatti. Ad uno stabile di via Santa Croce in Gerusalemme 55, nel rione Esquilino di Roma , occupato da circa 450 persone (170 famiglie, anziani con problemi cardiaci, respiratori e riabilitativi e 98 bambini), senza alcun preavviso, viene staccata la corrente elettrica per una morosità di oltre trecentomila euro, contratta in sei anni di occupazione dell’edificio. Ovvio che disagi anche gravi, specie per bambini, anziani ed ammalati si facessero subito sentire. Di questa situazione, che diventava sempre più insostenibile, padre Konrad viene avvisato da persone che nell’immobile assistono i bisognosi. Il Cardinale chiama la prefettura per trovare una soluzione che tarda a venire. Dal canto loro, gli occupanti si dicono disponibili a regolarizzare la situazione pagando le bollette , anche arretrate, purché a canone sociale per uso abitativo e purché l’utenza venga intesta a loro e non alla proprietà, che farebbe capo alla Banca Finnat, che paga un canone ad uso ufficio e perciò più caro. Si sa , la burocrazia va per le lunghe e le urgenze e necessità dei cittadini sono inversamente proporzionali ai suoi tempi. A questo punto il Porporato rompe gli indugi e nella notte tra sabato e domenica del 13 maggio compie un gesto sbalorditivo. Munito di tuta e attrezzi, come un qualsiasi operaio, si cala nel tombino, rompe i sigilli e restituisce l’elettricità allo stabile, ponendo fine alle tante difficoltà degli abitanti. Sul contatore lascia il suo biglietto da visita con su scritto, pare, tre semplici inequivocabili parole . “Sono stato io”.
Padre Konrad è l’Elemosiniere del Papa che, di notte, si aggira col furgone per le vie di Roma, mentre di giorno si muove in vespa, per soccorrere come può gli ultimi. Conosceva già gli inquilini del palazzo occupato, le loro necessità e le loro fragilità. Ma basta tutto questo per giustificare una violazione della legge? Per la verità, sulle prime, il fatto mi ha lasciata alquanto perplessa, sia perché credo nel valore della legalità, che sta alla base della civile convivenza, sia perché l’esemplarità del gesto avrebbe potuto fare proselitismo in negatitivo. Mi ha però molto irritata lo scatenarsi delle tifoserie, gli insulti e le trivialità che ho ascoltato, dettati da una lettura tutta epidermica dell’accaduto.
Ovviamente, poiché violare i sigilli è reato, l’azienda che distribuisce l’energia elettrica ha presentato una denuncia contro ignoti. Sacrosanto. Ma perché non presentarla con nome e cognome, visto che il Cardinale si è assunto le sue responsabilità autodenunciandosi? A me pare una grande ipocrisia!
Saranno i giudici, in ogni caso, a stabilire se questo reato rientra o meno nell’ art. 54 del codice penale che recita:” Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona”.

Il conflitto fra legalità e giustizia
E se provassimo a spingere lo sguardo più in là, a capire oltre ciò che appare, se provassimo a ragionare con pacatezza per comprendere le ragioni profonde di quel gesto e tentare la non facile via della coniugazione tra legalità e giustizia?
Non è un discorso semplice, anche perché, suo malgrado, il gesto dell’Elemosiniere
ha assunto una valenza politica, nel senso che parla alle politiche antisociali del governo. Tuttavia ritengo che la via della ricerca della verità profonda di ciò che è accaduto vada percorsa tutta.
Penso che l’idea di tante persone al buio per sei giorni, con tutte le difficoltà e i disagi conseguenti, faccia stare male dentro chi avverte il peso e la responsabilità morale di questo stato di cose. Quando la coscienza ci interpella nel profondo e ci chiede un gesto di umanità e di amore, è essa che indirizza le nostre azioni. In questo caso c’era uno stato di necessità contingente di tante persone. Bisognava tacitare la coscienza, far finta di niente e passare oltre? E in ultima analisi è più grave far saltare i sigilli o aiutare a vivere centinaia di persone? Non si è fatto male ad anima viva, ma si è fatto del bene a tanta gente e questo è ciò che conta.
Il Cardinale, assumendosi pienamente le proprie responsabilità ci ha indicato la via del coraggio dei gesti espliciti, non del silenzio complice, schierandosi senza tentennamenti a favore dei diritti delle persone. Non solo, ma con quell’azione, paradossalmente, egli può aiutare a ristabilire il rispetto della legalità in modo più consono, facendo da trait-d’union tra le istituzioni e i cittadini, che tante pastoie burocratiche non hanno consentito fin qui di fare. Potremmo trovarci così dinanzi, grazie proprio a quel gesto, non al sovvertimento della legalità, ma alla possibilità che venga ristabilita la giustizia attraverso una legalità rivisitata e corretta.
Che l’uso rigoroso e l’applicazione rigida di una norma potessero tradursi in un’ingiustizia per l’uomo, la saggezza latina l’aveva compreso ed enunciato con l’espressione lapidaria di Cicerone, summum ius, summa iniura e, prima di lui, con ius summum saepe est malitia dall’Heautontimoroumenos di Terenzio. Il diritto, portato alle estreme conseguenze, senza i necessari adattamenti ai casi concreti, può portare a compiere sostanziali ingiustizie. Da ciò l’esigenza di contemperare giustizia ed equità che non di rado configgono tra loro. Vale la pena di ascoltare questo ragionamento giuridico fatto da Cicerone nel “De Officiis”. “Capitano spesso delle occasioni in cui ciò che sembra più confacente all’uomo giusto, a quello che chiamiamo uomo onesto, si cambia nel suo contrario e può diventare giusto non restituire un deposito, non mantenere una promessa o altro che viene richiesto dalla verità e dalla lealtà. Bisogna comunque rifarsi ai fondamenti della giustizia che ho stabilito all’inizio; primo che non si faccia male a nessuno, secondo che si faccia l’interesse comune”.
I fondamenti della giustizia richiamati da Cicerone più di duemila anni fa rispondono ad una legge inscritta nella coscienza di ciascuno di noi. Non va mai scordato che, all’interno del conflitto tra diritto e giustizia, c’è l’uomo e che qualunque legge non dovrebbe mai negare, nei fatti, sacrosanti diritti umani.
Ad un gesto così denso di significato, il capo della Lega “indossando la divisa del teologo inquisitore, ha dato lezione al Papa… ha invocato i Santi e ha consacrato l’Italia al Cuore Immacolato di Maria” (A. Melloni, in “Repubblica” , 20 maggio 2019), in un crescendo in cui con la rozzezza e la villania che gli sono proprie, baciando rosari ed agitando Vangeli, ha intimato alla Chiesa di pagare le bollette di coloro che non le pagano, facendo finta di non sapere quali e quante opere nel mondo ogni giorno la Chiesa compie in silenzio a favore degli ultimi. Non gli è chiaro evidentemente il cortocircuito che innesca quando, brandendo come “amuleti” i simboli cristiani della pietà, dell’amore e della misericordia, li incarna poi nei suoi comportamenti disconoscendone il messaggio. Tanti cattolici finalmente hanno alzato la voce per rimarcare che il suo è un atteggiamento blasfemo perché c’è una separazione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio e che nessun ministro della Repubblica può varcare questo confine.

Il valore simbolico del tombino
Il gesto di padre Konrad assume anche un inequivocabile valore simbolico. Con lui la Chiesa è scesa nel sottosuolo delle nostre coscienze assuefatte per inquietarci, per scuoterci, per farci interrogare sulle domande essenziali che preferiamo evitare, per scandagliare il nostro animo e scoperchiare le nostre meschinità ed egoismi.
Armato degli attrezzi giusti che nel suo caso sono il Vangelo di Gesù e la sua legge dell’Amore, egli ha agito concretamente senza fare prediche, come più comodamente si usa fare, si è sporcato le mani e, dissipando le tenebre, ha riportato la serenità alle persone e la luce, quella elettrica e quella della parola di Gesù che ci comanda di non restare indifferenti davanti ai fratelli, a qualunque fratello, in difficoltà. Per fare questo abbiamo bisogno di luce per vedere ciò che spesso preferiamo non vedere. Egli, scendendo nel tombino, è come se avesse detto “lotto insieme a voi per la giustizia”. In questo gesto c’ è un Vangelo praticato, un Vangelo innervato nella situazione reale hic et nunc. E’ scandaloso certo il gesto dell’Elemosiniere, nel senso etimologico di skàndalon, pietra d’inciampo per quanti vogliono tirare dritto o girarsi dall’altra parte. L’amore non è mai ingiusto per sua stessa natura. E’ nell’amore infatti la chiave delle azioni buone e nella sua mancanza la chiave delle azioni non buone.
Anche Gesù era ritenuto un sabotare dai farisei quando di sabato, contrariamente a quanto prescritto dalla legge, operava guarigioni. Egli si chinava sui bisogni degli uomini che incontrava in qualsiasi giorno, anche di sabato, non solo perché i bisogni e le sofferenze da alleviare vengono prima della norma, ma perché la legge dell’Amore che ci ha donato non guarda al calendario. Semmai, ed è questo il punto, il quieta non movere delle norme o il si è fatto sempre così, a giustificazione della nostra pigrizia o del nostro sguardo senza amore, viene sovvertito da Gesù da un “MA io vi dico”, un MA controcorrente che mette in crisi le nostre abitudini sclerotizzate, ci interroga nel profondo e ci inquieta. Arriva un momento nella vita in cui ciascuno di noi viene chiamato a rispondere a quel MA evangelico o con un surplus d’amore o con una voltata di spalle. Il gesto disobbediente di padre Conrad non è che una risposta d’amore a quel MA, per chi sappia guardarlo nel suo significato più profondo. Era arrivato insomma per il Cardinale il tempo di dare corso a qual MA. E il tempo era questo e ora.

Esemplarità di un gesto di ieri e di oggi
Un atto radicale, carico di così grande spessore, racchiude in sé la verità e la forza del Vangelo. Il sacrosanto atto di disobbedienza civile dell’Elemosiniere, che tante perplessità e distinguo ha suscitato anche tra qualcuno dei suoi confratelli, va inteso come gesto etico di chi obbedisce alla propria coscienza. Esso, in ultima istanza, rivendica la libertà di coscienza di ciascuno e il primato della legge dell’amore , che è sempre a favore dell’uomo. Ci si è interrogati sul perché di un gesto fatto di notte. Così come di notte egli si muove col suo pulmino quando le strade sono quasi deserte. Non è poi così difficile capire che è la discrezione la cifra distintiva della carità. La quale va fatta senza clamore e senza enfasi, come è detto nel Vangelo. “Quando dunque fai l’elemosina non suonare le trombe davanti a te come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere notati dagli uomini […] quando invece tu fai l’elemosina non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra perché la tua elemosina resti segreta” (Mt, 6, 1-6; 16-18). La carità è il segno concreto dell’amore che non è mai opposto alla giustizia. Tra amore e giustizia non ci può essere contrasto alcuno. La conflittualità semmai nasce tra diritto e giustizia, due concezioni del mondo che hanno entrambe le proprie ragioni e che spesso tentiamo invano di contemperare. Se ne fa portavoce Antigone, protagonista sofoclea dell’omonima tragedia, di circa duemilacinquecento anni fa. E’ l’eroina per antonomasia della libertà di coscienza e della disobbedienza civile. Ella, per restare fedele alla legge divina, viola la legge umana stabilita dal re Creonte secondo la quale i nemici della città dovevano restare insepolti. Antigone invece seppellisce il corpo del proprio fratello Polinice che, da nemico, aveva combattuto contro Tebe, la propria città. “Nessuna legge umana, ella dice, può essere contro certi principi, nessuno può impedire la sepoltura di un corpo , neppure quello di un traditore, né impedire ad una sorella di seppellire il fratello […]. Le leggi eterne non sono di oggi o di ieri, ma vivono da sempre”.
Al re Creonte che ribadisce le ragioni del diritto positivo cui bisogna comunque obbedire, sicché un nemico, anche se morto, resta sempre un nemico, Antigone ribatte che la legge di Creonte non può andare contro quella della religione e della pietà, aggiungendo “non sono nata per condividere l’odio, ma l’amore”. A causa di questo gesto di sfida che si gioca tutto nel sovvertimento della legge umana ritenuta ingiusta, Antigone verrà condannata a morte e murata viva.
Sofocle definirà quello di Antigone “un santo crimine” , un ossimoro che mette in luce due opposte rappresentazioni del pensiero. Crimine per la legge degli uomini, santo perché l’eroina, obbedendo alla legge scritta da sempre nel cuore di ciascuno di noi, sente di fare la cosa giusta. La forza di questa tragedia e di questa eroina greca ha attraversato i millenni ed è giunta intatta e attuale fino a noi che continuiamo a dibatterci sul rapporto tra diritto e giustizia.

Conclusione
Un accadimento di tale portata è stato semplificato e banalizzato da certa stampa che lo ha ridotto al rango di puro fatto di cronaca. Non ne è stato colto, non so se per superficialità o per opportunismo, l’irriducibile spessore , la sua profondità e complessità. I fatti sono stati tagliati con l’accetta e tirati di qua e di là per dimostrare a volte tesi precostituite. Lo sforzo di comprenderlo fino in fondo nella sua intima essenza e nel suo valore è apparso probabilmente fuori luogo. Non ne valeva la pena. O forse è sembrato troppo impegnativo perché un tal gesto ci interpella e ci chiede di dire da che parte vogliamo stare. Ebbene io sto con chi liberamente, consapevolmente e responsabilmente risponde alla propria coscienza, contro gli opportunismi di ogni genere e i sepolcri imbiancati del conformismo che si sentono i soli detentori della verità e perciò autorizzati a puntare il dito contro quelli con un pensiero ed una coerenza di vita diversi dalla loro. E’ per questo che io sto convintamente con padre Konrad Krajewskj.

Rina Calignano