LA RIFORMA DI PAPA FRANCESCO RICHIEDE UN CAMBIO DI MENTALITA’

Un po’ di storia della nostra Chiesa locale e una prospettiva per il futuro

Il programma di riforma della Chiesa di Papa Bergoglio non è qualcosa di astratto, ma è ispirato, come lui stesso dice, al Realismo di Dio e abbraccia tutti i settori della vita del credente, dalla sinodalità e collegialità all’ecumenismo ed alle relazioni interreligiose, dal dialogo con il mondo contemporaneo al rifiuto di un uso strumentale della religione a fini politici, dalla pastorale della famiglia al rispetto del creato e alla critica dei paradigmi tecnocratici dominanti.

Questo programma di riforme così vasto gli ha attirato l’appellativo di rivoluzionario a cui egli risponde: “No! applico in pieno il Vangelo di Gesù”, ponendo alla base del suo insegnamento il mistero centrale del cristianesimo, l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio, di non facile comprensione anche tra alcuni cardinali.
Recentemente, infatti, quattro cardinali (Brandmüller, Burke, Caffarra, Meisner) hanno reso pubblici i loro Dubia su alcuni punti dell’Amoris Laetitia, chiedendo una chiarificazione al Papa che ha risposto dicendo che essi, purtroppo, “vedono solo bianco o nero”, mentre intorno a noi, nella vita reale, ci sono tante sfumature di cui si può e si deve tener conto. Padre Spadaro, in un articolo sul sito della Cnn del 3 dicembre 2016, ha chiarito che “le domande dei 4 cardinali sono già emerse durante il Sinodo e l’Amoris laetitia è il frutto maturo della riflessione di Francesco dopo aver ascoltato tutti gli interventi e letto il documento finale del Sinodo e non l’idea personale del Pontefice”. Questo gesto irrituale dei quattro Cardinali non ha turbato la serenità di Francesco che, a suo dire, continua a dormire sonni tranquilli. La reazione da parte del Papa è stata molto composta, ma altrettanto puntuale. Si sono susseguiti, infatti, a questo proposito, interventi molto appropriati. Sul nr. 14/2016 de “Il Regno” è apparso l’articolo, La riforma di papa Francesco, del Vescovo Marcello Semeraro, segretario del Consiglio dei nove Cardinali. Si tratta di un articolo molto corposo e preciso nei dettagli, probabilmente ispirato dallo stesso Pontefice. “Avvenire” ha invece pubblicato una lunga intervista concessa dal Papa a Stefania Falasca (18 novembre 2016) nella quale egli chiarisce il senso della missione della Chiesa nel mondo d’oggi e ribadisce che “la Chiesa non è una squadra di calcio che cerca tifosi”. Da ultimo, nel discorso alla Curia Romana del 22 dicembre scorso, il Papa ha chiaramente ammonito che la riforma della Curia richiede “uomini rinnovati” e non semplicemente “nuovi uomini».
Secondo Enzo Bianchi, infine, in questi tre anni e mezzo di Pontificato, Francesco ha impresso un nuovo ritmo al cammino della Chiesa con i due Sinodi sulla famiglia, con i ripetuti inviti a rendere più franca e trasparente la dialettica all’interno della Chiesa, con l’aver dato impulso all’ecumenismo e, annunciando il perdono di Dio al peccatore, ha affermato che oltre la legge c’è la misericordia.
“La chiesa -scrive Enzo Bianchi- è più che mai popolo di Dio, espressione cara a Papa Francesco, non solo per la sua matrice conciliare, ma perché capace di indicare la qualità popolare, non elitaria della comunità cristiana”. (Gli ottanta anni rivoluzionari di Francesco, in “La Stampa”, 17 dicembre 2016).
Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e Papa Francesco
Papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha sempre partecipato a tutte le adunanze dei Vescovi Italiani, invitandoli con decisione ad essere pastori più che amministratori. L’impressione che si riceve dall’esterno è che l’episcopato italiano, nel suo complesso, non sia in piena sintonia con il programma di Francesco. Si sono avuti diversi segni in questa direzione. Ne cito solo uno: la bocciatura, l’11 novembre 2014, della candidatura a vice presidente della CEI per il Centro Italia di Mons. Bruno Forte (60 voti contro 140 a favore di Mons. Mario Maini, Vescovo di Fiesole), già scelto da Papa Francesco come segretario speciale dei Sinodi sulla famiglia. La distanza tra Papa Francesco e Bagnasco è nota fin dalla sera della sua elezione quando la CEI inviò il telegramma di auguri a “Papa Scola”. Una gaffe destinata a incrinare i rapporti tra la Chiesa italiana e Bergoglio che, durante il convegno ecclesiale del novembre 2015, ammonì i Vescovi a “non aver paura del dialogo: perché è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”. Il progetto carismatico di papa Bergoglio, scrive Andrea Riccardi, richiede una risposta. ”I Vescovi si muoveranno con lui o risponderanno col silenzio e con cortese disattenzione”? Molto dipende, conclude Riccardi, dalla consapevolezza che essi hanno “del valore storico di questo papato: una chance decisiva per la Chiesa o un interludio”? (Il valore storico di questo papato, in “Il Corriere della sera”, 16 novembre 2016).
Conferenza Episcopale Pugliese (CEP)
Anche la (CEP) non ha brillato in questi anni per efficienza. Essa, com’era ovvio, ha seguito le orme della CEI e si è limitata a dare disposizioni di natura disciplinare riguardanti, fra l’altro, le processioni, i matrimoni, la celebrazione dei riti della settimana santa nelle Rettorie, ma non ha affrontato questioni messe sul tappeto dal Papa riguardanti la vita della comunità ecclesiale. Prime fra tutte, la diffusione capillare dei questionari, in preparazione ai Sinodi sulla famiglia, raccomandata dal Papa, l’approfondimento del “discernimento nella formazione dei sacerdoti”, perché, secondo San Tommaso e San Bonaventura, “il principio generale vale per tutti, ma […] nella misura in cui si scende nei particolari, la questione si diversifica e assume sfumature senza che il principio debba cambiare”, il superamento del “clericalismo che è uno dei mali più seri nella Chiesa” ed una attenzione particolare alla pietà popolare che è “l’unica cosa che si sia più o meno salvata dal clericalismo” perché è “una di quelle cose in cui i preti non credevano e i laici sono stati creativi”(Avere coraggio e audacia profetica. Dialogo di Papa Francesco con i gesuiti riuniti nella 36° Congregazione generale, in “La Civiltà Cattolica”, 10 dicembre 2016, pp.420, 421-422 e 429).
La Chiesa locale di Nardò-Gallipoli: un po’ di storia
Prima di fare un’analisi della situazione attuale della nostra Chiesa locale è bene ritornare indietro negli anni e ripensare agli avvenimenti più qualificanti di questi ultimi decenni, anche per ridimensionare qualche superficiale giudizio in merito. Purtroppo non ho elementi sufficienti per analizzare al contempo i fatti della ex diocesi di Gallipoli precedenti l’unificazione con Nardò del 1986.
a) Da mons. Corrado Ursi a Mons.Vittorio Fusco
Molto importanti, per la diocesi di Nardo, sono stati i primi tre decenni della seconda metà del Novecento che coincidono con l’episcopato di Mons. Corrado Ursi (1951-1961), poi Arcivescovo Cardinale di Napoli e di Mons. Antonio Rosario Mennonna (1962-1983).
Mons. Ursi, seguendo le indicazioni della Enciclica Mediator Dei sulla liturgia di Pio XII del 20 novembre 1947, essendo egli un ottimo liturgista, dette un forte impulso al movimento liturgico, anticipando di qualche decennio la costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II, per cui poi fu facile al suo successore, Mons. Mennonna, preparare un piano di pastorale incentrato sulla liturgia, intesa come sorgente della spiritualità cristiana il cui culmine è nella partecipazione attiva dei fedeli alla celebrazione eucaristica.
Grande risalto e molto interesse suscitò nel 1960 l’indagine sulla partecipazione dei fedeli alla Messa festiva voluta dal Vescovo Ursi (I risultati sono in “Bollettino Ufficiale per gli atti della Diocesi di Nardò”, Luglio-Ottobre 1961, nrr. 7-8). L’iniziativa, una delle prime, se non addirittura la prima, non solo nella Puglia ma in Italia, fu apprezzata, come risulta da una corrispondenza dalla Città del Vaticano (Cfr. F. PUCCI, Coraggiosa inchiesta sulla crisi religiosa in Italia, “Stampa Sera”, Lunedì 5 – Martedì 6 febbraio 1962, p. 9). Nel presentare i risultati dell’indagine, Mons. Ursi, anticipando di qualche anno il Concilio Vaticano II, esortò sacerdoti e laici ad annunciare “non una religione strutturata di sole formule, di riti incomprensibili, di pesi, ma una religione-vita, detta da Gesù stesso in spirito e verità”(Bollettino cit.)
La costruzione di una nuova sede per il Seminario diocesano, decisa da Mons. Ursi, poiché quella esistente era inagibile, e inaugurata poi da Mons. Mennonna nel 1964, fu il segno tangibile di quanta importanza i Vescovi Ursi e Mennonna dessero alla formazione dei giovani aspiranti al sacerdozio.
Nel 1956, in occasione del 25° di sacerdozio del Vescovo diocesano, fu inaugurata l’oasi “Tabor”, che Ursi considerava “uno strumento validissimo capace di operare nel mondo delle anime sublimi trasformazioni e trasfigurazioni nel divino” ( (Come sul Tabor, in “Bollettino Ufficiale per gli atti della Diocesi di Nardò”, agosto-ottobre 1956, p.91).
Per molti anni il “Tabor” è stato il luogo d’incontro e di formazione permanente per sacerdoti e laici. Negli anni post-conciliari è stato il centro di studio dei documenti conciliari che avevano suscitato grande entusiasmo ed avevano alimentato grandi attese. Nell’approfondimento dei testi attraverso gruppi di studio, Mons. Mennonna si avvalse della collaborazione degli Assistenti e dei dirigenti nazionali dell’Azione Cattolica e riuscì a coinvolgere tutti i sacerdoti, giovani ed anziani, i laici impegnati nell’associazionismo cattolico e anche gruppi di fedeli disponibili a collaborare con il clero. Il risultato fu un piano pastorale finalizzato ad un rinnovato impegno apostolico dei laici, ad una visione comunitaria della parrocchia e a un incremento della catechesi a tutti i livelli. Ciò significò la presenza efficiente in tutte le parrocchie dell’Azione Cattolica e la nascita dei movimenti culturali dell’Azione Cattolica, dal circolo FUCI che collaborò con quelli di Gallipoli e Galatina, al Movimenti Maestri e Laureati, dall’AIMC che organizzò i vari corsi di cultura religiosa per Insegnanti elementari, all’UCIIM e al Movimento Studenti che promosse tra gli studenti la partecipazione al concorso nazionale “Veritas”. In Curia, a suo tempo, era stata depositata una corposa documentazione sull’attività dell’associazionismo cattolico di quegli anni. Non so se c’è ancora ed è consultabile.
Tra i laici che in quegli anni hanno realizzato una presenza attiva nella vita della comunità diocesana non posso non ricordare la Signorina Dott. Elisa Sansonetti (1900-1978) che aveva conosciuto la Sorella Maggiore, Armida Barelli e Padre Agostino Gemelli e che dedicò tutta la sua vita all’apostolato laicale e il Barone Ing. Salvatore De Donatis (1900-1983) che, oltre ad essere stato per tanti anni Presidente diocesano dell’Azione Cattolica, generosamente prestò la sua opera nel progettare e dirigere le costruzioni e i restauri degli edifici sacri non solo della nostra diocesi, ma anche delle altre diocesi del Salento.
Mons. Aldo Garzia, Vescovo di Gallipoli (1982-1986) e primo Vescovo della diocesi di Nardò-Gallipoli (1986-1994) ebbe innanzitutto il compito non facile di cementare e solidificare l’unione delle due diocesi e avviare un piano pastorale comune. A lui si deve inoltre la programmazione e la gestione dei lavori di restauro del Tabor e della Villa Vescovile e la ristrutturazione dei locali del nuovo seminario.
Mons. Vittorio Fusco, (1996-1999), uomo saggio, prudente e di vasta cultura teologica, scelse il Seminario come sua residenza. Ebbe il coraggio di affrontare e risolvere, almeno per quell’anno, l’annoso problema della sistemazione della migrazione stagionale, utilizzando i locali adibiti a deposito di vino nei pressi della stazione ferroviaria di Nardo-centrale. La decisione di essere sepolto nella cripta della Cattedrale di Gallipoli fu un gesto significativo tendente a consolidare l’unione delle due diocesi.
b) Mons. Caliandro (2000-2012)
Mons. Caliandro, che sembra non gradisse tanto il trasferimento, arrivò a Nardò con la fama di un abile amministratore. Da subito, infatti, si dedicò alla gestione dei beni diocesani e mutò le finalità del Tabor, utilizzandolo come casa di vacanza o location per eventi diversi. Non è sembrato invece ai fedeli efficace il suo piano pastorale. Innanzitutto perché ha marcato la divisione tra sacerdoti giovani e sacerdoti anziani, promuovendo i primi ed emarginando i secondi, ma, in modo particolare, per la strategia messa in atto tesa ad incrementare la frequenza dei fedeli nella Chiesa Cattedrale, dopo la rinuncia di Mons. Alfredo Spinelli e la breve parentesi di don Decio Merico. Il progetto prevedeva inizialmente l’unificazione delle parrocchie Cattedrale e Carmine affidate ad un solo sacerdote e, successivamente, la soppressione della parrocchia del Carmine. Al neo Parroco, Mons. Giuliano Santantonio, fu affidata, perciò, la cura pastorale delle due parrocchie e di tutte le Rettorie, ricadenti nel loro territorio, ad eccezione di quella di San Antonio da Padova. Nel giro di pochissimo tempo, come previsto, la parrocchia del Carmine fu soppressa e le Rettorie, non disponendo di un proprio Rettore che ne curasse l’ufficiatura, chiusero i battenti. I fedeli però che le frequentavano non si riversarono in massa nella Chiesa cattedrale per cui si ripresentò la situazione di prima con l’aggiunta che la Chiesa del Carmine, pur non essendo parrocchia e nonostante le restrizioni imposte dal Parroco, ha continuato ad essere più frequentata della Cattedrale.
Il Vescovo, purtroppo, non si rese conto che le comunità non si rompono e ricreano forzosamente, pena il loro sfaldamento e il loro disperdersi perché in esse, proprio perché comunità di persone, oltre al fattore religioso, gioca un ruolo importante anche il fattore umano, di cui bisogna tener conto se si ha a cuore la loro sopravvivenza e che riguarda in primo luogo le relazioni, le consuetudini e i legami che si sono stabiliti fra le persone di una comunità
Questo complesso e complicato progetto riformatore è espressione di una pastorale vecchio stampo, precedente il Vaticano II, che considera la parrocchia incentrata intorno alla persona del Parroco, che si prodiga per una partecipazione sempre più numerosa dei fedeli alle varie attività, alle Messe e alle adunanze di rito. Francesco invece non vuole comunità chiuse che non sanno accogliere i lontani e non riescono ad uscire da se stesse per “andare verso chi non le frequenta, chi se ne è andato o è indifferente” (A. SPADARO, Intervista a Papa Franesco, in “La Civiltà Cattolica”, n. 3918, 19 settembre 2013, p.463)., Proprio per questo, concludendo il Giubileo dei sacerdoti e dei seminaristi (1 – 3 giugno 2016), nella Messa in piazza san Pietro, il Pontefice ha ricordato che il prete “è un buon samaritano per chi è nel bisogno, un pastore che rischia e si dona senza sosta al suo gregge, tiene le porte aperte ed esce a cercare chi non vuole più entrare perché nessuno deve perdersi”.
L’attuale Vescovo di Nardò-Gallipoli: Mons. Fernando Filograna
“Ho incontrato per la prima volta Mons. Fernando Filograna, scrivevo su “Anxa” (luglio agosto 2013, p. 25), nella sua parrocchia a Lecce insieme al clero neritino. Ho avuto l’impressione di trovarmi dinanzi ad una persona che nello stile ricorda Papa Francesco”. In seguito, avendolo incontrato personalmente, ho constatato che è veramente una persona molto disponibile, che ascolta tutti. Conoscendo perciò questa sua disponibilità all’ascolto azzardo alcune riflessioni.
Perché non riaprire le porte delle Chiese del Centro storico chiuse da anni, di grande valore artistico, intorno a cui si aggregavano comunità di credenti e che testimoniano, oltre alla presenza in tempi passati di comunità religiose, la fede dei nostri padri e, attraverso la loro ufficiatura puntuale e rigorosa, renderle luoghi di incontro, di formazione e preghiera, dopo il varo di un appropriato piano di coordinamento, affinché vengano perseguiti unitariamente gli stessi obiettivi?
La Chiesa Cattedrale, invece, potrebbe diventare, con l’apporto di sacerdoti e laici qualificati, un centro di irradiazione culturale con l’istituzione, ad esempio, della Cattedra per lo studio della Evangelii Gaudium, così come richiesto da Papa Francesco. Vi si potrebbe istituire anche un centro di studi per promuovere la riscoperta dei documenti conciliari. Il ruolo di parrocchia ritornerebbe, così, alla Chiesa del Carmine che, stando ad indiscrezioni, si vorrebbe invece chiudere, riducendone gradualmente le attività. Nel popolo di Dio si sente diffusamente un gran bisogno di questi cambiamenti e, secondo l’insegnamento di Francesco, per il sensus fidei di cui esso è portatore, gli si dovrebbe prestare ascolto.
Conclusione
E’ ormai abbastanza evidente che Papa Francesco vuole un rinnovamento profondo della Chiesa, nel senso di una Chiesa accogliente e sempre più aperta al modo, una Chiesa in uscita, sempre più vicina agli ultimi e in ascolto dei disagi, dei bisogni, delle difficili situazioni umane, sempre pronta ad intervenire con la medicina della misericordia. Tutto ciò richiede un profondo sostanziale mutamento di mentalità e di linguaggio per ciascuno di noi, che ci aiuti ad affrontare i nuovi problemi e le nuove sfide che ci sono davanti, ai quali il Pontefice ci esorta a rispondere con coraggio e responsabilità. E allora mi chiedo: come traduciamo concretamente tutto questo (che è poi ciò che essenzialmente conta) e cosa si sta facendo nella nostra realtà locale per rispondere a queste fondamentali ed ineludibili richieste del Papa? Penso ad esempio ai nuovi compiti che incombono, come l’allestimento dei tribunali diocesani per lo scioglimento del vicolo matrimoniale o la formazione dei confessori chiamati ad assolvere dal peccato dell’aborto o a pronunciarsi sulla validità del vincolo matrimoniale, questioni queste che vanno affrontate senza ulteriori dilazioni perché urgono i bisogni delle persone in carne ed ossa. Mentre il Papa apre questi nuovi orizzonti, nelle parrocchie si svolgono sempre le solite attività con le identiche modalità. Non è mutato di una virgola il nostro procedere pastorale. Abbiamo solo aggiunto qualche termine nuovo nel nostro vocabolario, ma la mentalità è quella di prima. Tutto ciò non basta. Occorre un piano pastorale che parta dallo studio serio e metodico dei documenti del Papa, studio che dovrebbe coinvolgere Vescovo, preti e laici a cui dovrebbe far seguito, ovviamente, una rinnovata prassi pastorale. Solo così potremo sperare che Francesco abbia avviato un processo che né il tempo, né la pigrizia degli uomini potrà fermare.