“Condotta sottomarina”: cerchiamo di fare un po’ di chiarezza…

“Condotta Sottomarina”, sono in tanti i cittadini che chiedono chiarezza sull’argomento anche a causa del continuo evolversi della situazione e/o perché confusi dalle continue dichiarazioni (spesso contrastanti) che appaiono sugli organi di informazione sulla questione.
Cerchiamo di chiarire la vicenda anche se, data la complessità della problematica trattata, non sarà semplice.

Innanzitutto, spieghiamo sinteticamente come funzionano gli impianti di depurazione cosiddetti virtuosi, e che per questo spesso vengono presi ad esempio come infrastrutture da realizzare anche sul proprio territorio da molti Comuni che hanno problemi di gestione dei reflui, tra cui anche Nardò. Il riferimento è a quelli di Melendugno e Fasano – Forcatelle.
Iniziamo dal primo. L’impianto consortile a servizio dell’agglomerato di Melendugno, tarato per 43.500 abitanti equivalenti, è sorto per garantisce il livello massimo di depurazione (la famosa tabella IV) per permettere di soddisfare l’esigenza di una gestione integrata del refluo depurato, mirata sia al riutilizzo agricolo sia allo smaltimento su suolo, tramite trincee drenanti. Questo perché non è stato possibile recapitare le acque a mare in quanto la canalizzazione per il recapito dei reflui in Adriatico avrebbe intercettato aree di interesse naturalistico e archeologico. Un po’ come successo da noi, dove Porto Cesareo non può avere un proprio recapito finale a mare per la presenza dell’Area Marina Protetta. Le trincee drenanti realizzate hanno, tuttavia e solo dopo poco tempo, manifestato l’inadeguatezza a sostenere i picchi di carico registrati nel periodo estivo. Si è dunque posta l’esigenza di individuare un recapito alternativo di smaltimento dei reflui depurati, sopperendo alla subentrata ridotta capacità assorbente delle trincee, e per questo è stato realizzato un sistema di affinamento dei reflui provenienti dal sistema depurativo (che lo ripetiamo già in grado di scaricare acque pulite al massimo della depurazione), mediante bacini di biofitodepurazione a flusso superficiale. Questo probabilmente per consentire anche un più lento rilascio del refluo su suolo, aumentandone perciò la capacità di assorbimento. Infatti, i bacini per la fitodepurazione, fungono anche da vasche di raccolta del refluo. La Regione Puglia, inoltre, ha inteso trasformare la realizzazione di quest’opera in un intervento di riqualificazione ambientale, attraverso la ricostruzione di un’area umida, promuovendo nel contempo attività finalizzate alla valorizzazione della natura e dell’ambiente, oltre che di educazione ambientale, il tutto affidato a Legambiente.
Questo modello di impianto, però, non sembrerebbe replicabile per garantire la gestione congiunta dei reflui di Nardò e Porto Cesareo. Infatti, sommando le presenze estive delle due località, si raggiungono picchi di circa 300.000 persone, e sinceramente, appare poco realistico gestire con un sistema tipo quello di Melendugno l’enorme quantità di reflui prodotti da 300.000 abitanti.
Veniamo ora all’impianto di Fasano-Forcatelle. E’ stato inaugurato da qualche mese, ed intercetta le acque provenienti dal contiguo depuratore comunale, affina le acque depurate e le riporta in natura per un loro riutilizzo agricolo, distribuendole a 50 aziende agricole. È stato anche creato un laghetto artificiale della superficie di sette ettari per l’accumulo delle acque reflue depurate. A nostro avviso, però, essendo ad oggi vietato per il ravvenamento della falda l’utilizzo delle acque in eccesso rispetto a quelle riutilizzate per usi irrigui (durante l’inverno la richiesta di acqua in agricoltura è pressoché inesistente) e civici, le acque in eccesso di questo impianto vengono recapitate a mare raso scoglio in tab. I, cioè il minimo della depurazione, e non potrebbe essere altrimenti perché così prescrive la legge per le acque reflue che hanno come recapito finale il mare (a meno che non si tratti di aree ambientalmente sensibili). A questo proposito, va anche detto che ci lasciano alquanto perplessi le dichiarazioni che vorrebbero molto ridotta la quantità di refluo depurato che va a finire a mare durante il periodo invernale. Basta infatti fare due calcoli tra la capacità di accumulo del laghetto artificiale, quella riutilizzata in agricoltura, e il refluo prodotto dagli abitanti equivalenti per cui opera il depuratore di Fasano – Forcatelle, ed il risultato è palese.
Alla luce di quanto sopra esposto, qualcuno si chiederà come mai, allora, si parla di questi impianti come esempi di “conversione verso circuiti virtuosi” per evitare di buttare acqua a mare.
Semplicemente perché, come ha scritto il Ministero dell’Ambiente, tra non molto potrebbero essere emanate delle nuove linee guida da parte dell’Unione Europea che dovrebbero consentire l’uso di reflui depurati per il ravvenamento della falda, cosa oggi espressamente vietata dalla legge. Questo, in parole povere, significherebbe poter avere come recapito finale delle acque reflue in eccesso rispetto a quelle utilizzate in agricoltura e per usi civici, il sottosuolo piuttosto che il mare o il suolo. E gli impianti di Melendugno e di Fasano – Forcatelle sono già predisposti per farlo non appena la normativa comunitaria (a cui si dovrà uniformare quella nazionale) e i Piani di Tutela delle Acque, (quest’ultimi di competenza regionale) lo consentiranno.
Proprio per questa ragione, l’amministrazione precedente e quella attuale hanno preso come riferimento l’impianto di depurazione di Fasano – Forcatelle. Infatti, a ben leggere il protocollo d’intesa del 30/09/2015 (amministrazione Risi) erano previste le somme necessarie 3.500.000€ per adeguare il nostro depuratore alle caratteristiche tecniche di quello di Fasano – Forcatelle. Il problema però è che, ad oggi, quelle opere non sono state finanziate, nonostante la Regione abbia impegnato ingenti risorse europee per la depurazione.
Ecco perché ci siamo spinti a chiedere all’attuale amministrazione di non rilasciare alcuna autorizzazione se prima la Regione Puglia, attraverso una delibera di giunta, non metterà a disposizione le necessarie risorse per dare il via ad un progetto di depurazione per gli agglomerati di Nardò e Porto Cesareo, in linea con quello di Fasano.
L’amministrazione Mellone, rispetto all’amministrazione Risi, ha deciso di non realizzare la condotta sottomarina, anche se c’è da dire che all’epoca in cui si sottoscrisse il protocollo, cioè settembre 2015, il Ministero non aveva fatto alcun cenno, cosa avvenuta con una nota dell’11 Luglio 2016, dell’eventualità che l’Unione Europea potesse consentire lo scarico in falda. Per il resto le intenzioni di Mellone e quelle di Risi appaiono simili.
Del resto, la revoca parziale del protocollo d’intesa del 30/09/2015, voluta dall’amministrazione Mellone (ora che ha dato il via al collettamento dei reflui di Porto Cesareo a quelli di Nardò), consiste solo nel dire no alla realizzazione della condotta.
Detto questo, però, bisogna dire che è necessaria la massima attenzione, perché se, come pare si stia per verificare, le intenzioni di AQP e Regione sono quelle di realizzare il primo e da tutti avversato progetto di collettare semplicemente i reflui di Nardò e Porto Cesareo e scaricarli con il minimo della depurazione (tab. I) nel mare di Torre Inserraglio attraverso una condotta sottomarina dalla lunghezza insufficiente, con la promessa che “poi” si attuerà l’allineamento delle prestazioni dei depuratori di Nardò e Porto Cesareo a quello di Fasano, saranno guai.
In conclusione, ai Neritini e non solo, non resta che sperare che la Regione mantenga fede agli impegni assunti, con l’amministrazione Risi prima e Mellone poi, di attuare una politica di indirizzo di gestione sostenibile dei reflui, così come abbiamo più volte scritto, e che l’Unione Europea emani al più presto i criteri per consentire il riutilizzo delle acque reflue in eccesso rispetto a quelle utilizzate in agricoltura, per il ravvenamento delle falde. Altrimenti l’acqua avrà come recapito finale comunque il mare. Infatti, inutile prenderci in giro, sarà impossibile, almeno per moltissimi anni, utilizzare tutto il refluo per usi irrigui o civici. Anche perché bisognerà trovare una soluzione per il periodo invernale (lo “stoccaggio” nelle cave dismesse è ancora in fase sperimentale e non siamo certi sia sufficiente), quando l’acqua non sarà richiesta per fini agricoli.