Profumo di scuola

Me lo ricordo bene l’abbraccio della mia maestra, quel giorno, l’ultimo dei cinque anni nella scuola primaria. Il suo profumo mi ha accompagnato per tutta la vita, fino ad ora. Lo sguardo vispo sotto gli occhiali e le dita affusolate, un filo di rossetto perlato sulle labbra e il foulard intorno al collo, annodato a mo’ di cravatta. Il tutto le conferiva un’elegante aria da intellettuale, insieme all’immancabile penna nera nel taschino del thailleaur blue.

Tra le mani la mia pagella. Mi tese il fatidico pezzo di carta decorato di voti con fare simpatico, con stampata in faccia quell’aria di fierezza da docente realizzata. E se la meritava tutta quella fierezza…

Mi aveva insegnato a leggere con una tecnica che mi pare si chiamasse “metodo del sorriso e dell’incoraggiamento”. Tutti nel gruppo classe dove ero stata iscritta, già pochi giorni dopo l’inizio della prima elementare, avevano imparato l’arte sublime del leggere e dello scrivere. Quasi tutti erano atterrati alla primaria da quel trampolino di lancio che è la scuola dell’infanzia, dove, tra pre-calcolo, pre-grafismo e pre-sillogismi, avevano già assorbito abbastanza sufficientemente tutte le competenze di un corso base sulla lingua e sulla matematica. La mia scuola dell’infanzia, con la prua puntata verso approdi fantastici, infondo era stata solo la barca di mio padre sulla quale ero salita sempre come su di una nave pirata, pronta a varcare la tempesta pur di conquistare barili d’oro.
Così, mentre l’intera classe, uscita con tanto di diploma e cappello dalla scuola dell’infanzia, esordiva già in sillabe concatenate, rime e filastrocche, lì, in un angolino sprofondato del banco, di rimpetto alla cattedra, c’ero io. Un broncio perenne. Non volevo saperne di appropriarmi di quella sfilza di simboli alfabetici stampati sulle pareti, sui libri, sui giornali, sulle magliette, sui segnali stradali, sui tabelloni del cinema, nelle sigle dei cartoni animati, insomma dappertutto, all’infuori che nella mia mente. Avevo sei anni e davanti a me una montagna abbastanza ardua da scalare… la scuola!
Solo la tenerezza della mia maestra mi aiutò a rompere il bozzolo delle paure e a spiccare finalmente il volo. “Devi credere in te,” mi disse dolce e convinta, “fidati: ce la farai…”
Fu così che, progressivamente, quella montagna paurosa cominciò a rappresentare un mondo pieno di segreti da scoprire, un’avventura tutta da vivere, una pagina finalmente da leggere e raccontare anche per me.
La mia maestra me la ricordo così: tenace, creativa, piena di luce e di idee, una miniera di competenze, soprattutto una risorsa d’amore inesauribile. Quello che insegnava sapeva colorarlo di allegria, quello che raccontava era incredibilmente piacevole. Un giorno se ne venne in classe con un buffo cappello da mago sulla testa e una bacchetta magica, brillante e sventolante, nascosta sotto il lembo del mantello. Avremmo parlato dei fenomeni naturali!
Attualmente seguo con molto interesse quel filone di pensiero che sostiene, con agguerrita convinzione, la didattica delle formalità, la filosofia impeccabile dello stoicismo pedagogico. Ma, con tutta franchezza, tra le sue file di pensatori ed educatori incravattati non mi sento proprio a mio agio. Devo necessariamente concedermi un flash-back sulla mia maestra per sperimentare i benefici pari a quelli provocati da una bella boccata d’aria fresca.
L’insegnante, oggi come ieri, ha il privilegio di poter trascorrere una significativa manciata di tempo con le nuove generazioni e questo tempo, secondo gli ambiziosi psicologi contemporanei, è “tempo prezioso per costruire un futuro migliore per tutti”. Tempo per stimolare, motivare, suscitare sete di sapere, educare cioè (letteralmente) “condurre fuori, portare alla luce”.
Insegnare oggi significa, senza dubbio, dovere e opportunità di aggiornarsi, formazione specifica tra piani e corsi di aggiornamento, ambiti da conoscere e approfondire, capacità di saper navigare sulle grandi piattaforme, progetti, convegni, seminari, piani digitali. Fare l’insegnante oggi significa prima di tutto credere nel valore della propria missione, nell’efficacia del proprio compito ed essere pronti a lasciare, in un abbraccio solo, tutto il profumo.