“Open bar”… ossia un termine inglese che nasconde, dietro la fluidità del suono, una triste realtà. “Open bar”… quasi un eufemismo per dire “bevi quanto vuoi, sballati, fatti male con l’alcol, muori, accasciati su te stesso, chiunque tu sia, giovane o adolescente, maggiorenne o minore”. “Bar sempre aperto”, “cocktail alcolici all’infinito, senza limite”: è questa la moda che intercorre attualmente tra le nuove generazioni, quella di bere alcolici sotto la falsa etichetta della normalità, del “tanto tutti fanno così!”, del non-scandalo.
In quasi tutte le feste tra giovani, adolescenti e preadolescenti l’alcol la fa da padrone ormai, sono occasioni di ritrovo dove non si mangia nulla, ma si beve soltanto, con il bicchiere in mano, nelle piazze, ai compleanni, agli eventi, nei vicoli bui e nascosti, sulla spiaggia sotto il cielo stellato, di notte, con la scusa delle stelle cadenti. Ci sono anche delle feste, organizzate da ragazzi presso ville di privati, con piscine e giardini, che fanno dell’open bar la priorità assoluta e il richiamo accattivante del divertimento non-sano di cui vanno alla ricerca molti adolescenti ancora in fasce. E’ in questi luoghi che l’alcol è a portata di mano, dietro un chiosco improvvisato, tra le mani improvvisate di un improvvisato bar man, in fasce anche lui, che prepara e vende euforici cocktail camuffati di dolce e frizzante gusto. Magari sul chiosco campeggia anche una scritta sarcastica, offensiva della vita e di quei valori che le famiglie insegnano ai propri figli. Così i giovani si abbeverano a queste fontane della morte senza controllo, senza clausole che limitino l’uso di alcolici, sotto gli occhi di tutti, degli amici, sotto lo sguardo vuoto della società, della comunità umana, la stessa che, subito dopo, è pronta a sfilare alla fiaccolata commuovente, quando ormai è scappato il morto. In questo panorama di sballo alcolico il protagonista è quasi sempre il gruppo, solitamente pilotato da leader pericolosi che inducono gli altri a sentirsi inferiori, non adeguati, non all’altezza del branco se non conformi all’uso della cannuccia nel bicchiere. Chi non beve è etichettato come idiota, fragile, il debole della compagnia, il non-super uomo del clan degli scelti. Tutti nel gruppo devono ubriacarsi prima o poi, per la prima volta, rischiando la fine, attraverso una sorta di iniziazione al gin, per piacere agli altri che lo fanno da tempo ormai. Le famiglie sono condizionate da altre famiglie che mandano, lasciano, permettono, consentono, sulla scia del “tanto sono esperienze che devono fare”. Molti genitori di questi figli non sanno che i propri figli, anche minorenni, fanno abuso di alcol. Molti genitori non sanno che, quando i figli rincasano a notte fonda, e loro già dormono, hanno già vomitato varie volte, stimolati dalle dita degli amici infondo alla gola. La mattina ci si sveglia e non ci si accorge di nulla. Se scappa il morto, oppure se qualcuno rischia il coma etilico, nel gruppo ci si protegge gli uni gli altri, per non essere scoperti, stretti nel bavaglio dell’omertà e delle bugie. Intanto le statistiche attinenti ai danni dell’alcol sui giovani sono open, i dati sono documentati e aggiornati, anche gli incidenti stradali causati dall’uso di alcol sono lampanti sui giornali.
E noi che si fa? Sarebbe opportuno essere cittadini attivi, informarsi e fare rete con le istituzioni, con le amministrazioni cittadine e con le famiglie, sensibilizzare l’opinione pubblica con proposte costruttive ed efficaci, mantenere aperto il dialogo con le nuove generazioni, stimolandole alla conoscenza approfondita circa i danni dell’alcol sulla salute.
Redazione